È stato molto importante l’appello che Papa Francesco ha lanciato domenica 24 ottobre durante l’Angelus. Parole puntuali e precise che hanno toccato il dramma umanitario in corso in Libia in tutti i suoi aspetti. Il Papa ha fatto proprie le denunce che arrivano dai 3mila rifugiati che da oltre 20 giorni presidiano gli uffici Unhcr a Tripoli e da tutti gli altri che si trovano in detenzione. Rifugiati che gli hanno scritto una lettera e che lui ha invitato a partecipare all’incontro dei movimenti popolari. Ha dunque ribadito che il paese nordafricano non è un luogo sicuro, perché non esistono garanzie del rispetto dei diritti umani. Al contrario ci sono quotidianamente violenze, torture, stupri. Fino a quando tutto questo non terminerà non si devono stringere accordi con le autorità di Tripoli. Come hanno fatto invece l’Italia e l’Europa che in questo momento sono latitanti rispetto alle loro responsabilità.

Il papa ha anche parlato dei soccorsi in mare. Chi riporta indietro le persone in fuga dalla Libia non salva nessuno, ma compie dei respingimenti illegali. In quel tratto di mare serve un dispositivo di ricerca e soccorso istituzionale con un mandato chiaro, come fu Mare Nostrum. Servono poi canali legali di ingresso, attraverso accordi con i paesi di transito. Quelli che vengono fatti adesso sono soltanto per ostacolare i movimenti di persone. Al contrario con Sudan, Etiopia, Niger, Ciad, e tutti gli altri stati in cui sia possibile farlo, occorre stabilire intese che permettano partenze legali e sicure di migranti e rifugiati. Soltanto così si possono sconfiggere gli interessi economici dei trafficanti e impedire che migliaia di vite umane si perdano lungo le rotte migratorie di terra e di mare.

Nel frattempo, però, in Libia c’è un’emergenza che come tale va affrontata. La situazione disastrosa si trascina da anni nell’indifferenza e anzi assai spesso con la complicità sostanziale delle politiche europee. Ma negli ultimi mesi ha registrato una ulteriore escalation di violenza, orrore, violazione sistematica dei diritti umani. Tra il primo e il 4 ottobre, partendo dal sobborgo di Gargaresh ed estendendo poi l’operazione a tutta Tripoli, le forze di polizia libiche hanno arrestato oltre 5 mila persone, donne e uomini, in quanto «immigrati clandestini». Un’accusa che per lo Stato libico (che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati) non è una semplice violazione amministrativa ma un grave reato penale, che comporta mesi e anni di carcere, in condizioni di detenzione che definire invivibili è un eufemismo. Il Papa stesso ha chiamato quei luoghi di prigionia con il loro nome: «lager».

Di fronte a un’emergenza servono risposte straordinarie. Abbiamo visto quello che è accaduto in Afghanistan con il ponte aereo che in poche settimane ha condotto fuori dal paese decine di migliaia di persone in pericolo. Perché in Afghanistan sì e in Libia no? Anche in Libia non esistono le condizioni di sicurezza per migranti e rifugiati. Anche in Libia le donne subiscono violenze indicibili. Anche in Libia l’Occidente ha delle responsabilità enormi a cui deve fare fronte. Il primo ministro Mario Draghi ha detto che l’Europa non deve costruire muri, ma i muri non sono solo quelli che separano i confini terrestri. Un altro muro è stato costruito nel Mediterraneo centrale finanziando la cosiddetta «guardia costiera» libica che nel 2021 ha catturato, non salvato, oltre 27mila persone. Un numero record ben più alto di quelli fatti registrare ai tempi in cui ministri dell’Interno erano Marco Minniti (Pd) o Matteo Salvini (Lega). Le persone intercettate in mare finiscono puntualmente nell’orrore dei centri di detenzione. Tutto questo non si può più tollerare. Italia ed Europa devono accogliere il grido che arriva dalla potente e inedita lotta dei rifugiati di Tripoli: evacuazione immediata dalla Libia.

* sacerdote eritreo fondatore dell’agenzia Habeshia, impegnato nell’assistere i migranti nel Mediterraneo