Più che il vertice del disgelo, come è stato presentato con forse un po’ troppa enfasi, quello che faranno oggi il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in Turchia assomiglia piuttosto a un viaggio della speranza: quella di riuscire a convincere Recep Tayyip Erdogan a stringere un nuovo patto sui migranti simile a quello siglato il 18 marzo del 2016 che permise di bloccare la fuga dei rifugiati siriani verso l’Europa. In mezzo, i due leader europei proveranno anche a parlare di rispetto dei diritti umani in un Paese che ha appena abbandonato la convenzione di Istanbul contro la violenze sulle donne e dove ieri dieci ex ammiragli sono stati arrestati per aver scritto una lettera critica nei confronti del presidente turco, mentre per domani è prevista la chiusura di uno dei tanti processi per il fallito golpe del 2016 con sentenze che, è facile immaginare, non saranno lievi.

Cinque anni dopo l’accordo raggiunto tra Ankara e Bruxelles grazie alla regia della cancelliera Merkel, l’Europa dunque ci riprova. Il viaggio di oggi è stato preceduto da una marcia di avvicinamento cominciata a gennaio dalla Turchia che, nonostante sia allergica alle critiche europee, ha smorzato i toni polemici nei confronti di Bruxelles accompagnando questa nuova disponibilità al dialogo con l’impegno a fermare le perforazioni nel Mediterraneo, a riprendere i colloqui interrotti con la Grecia e a riavviare i negoziati con Cipro.

Un atteggiamento giudicato positivamente dall’Ue, anche se non è mancata la prudenza: «La situazione resta delicata», ha infatti spiegato il rappresentante per la politica estera, Jospeh Borrell, al termine del consiglio europeo del 25 marzo. «Ho individuato un paio di misure con un approccio binario: da un lato misure positive e, dall’altro, misure che possono essere prese se la situazione dovesse ribaltarsi».

Oggi la Turchia ospita più di 4 milioni di rifugiati, 3,6 milioni dei quali sono siriani. In questi cinque anni i rifugiati ricollocati in Europa sono stati 28.621, mentre 2.140 sono quelli riaccolti dopo essere sbarcati illegalmente in Grecia. La situazione è però cambiata a febbraio 2020, con la decisione di Erdogan di mettere fine all’accordo aprendo le frontiere del Paese. Un numero, soprattutto, fa paura a Bruxelles ed è quello che registra il crollo dei migranti fermati dalle autorità turche: nel 2019 furono 454.662, contro i 122.302 del 2020, una flessione dovuta principalmente alla volontà di Erdogan di punire l’Europa perché, a suo dire, non avrebbe mantenuto gli impegni presi versando solo 3,6 miliardi di euro dei 6 promessi nel 2016 (cifra contestata da Bruxelles che parla invece di 4,1 miliardi già impegnati mentre il resto verrà speso in contratti entro il 2023).

Michel e von der Leyen non si presentano comunque a mani vuote da Erdogan. I due leader sanno di poter promettere al presidente nuovi finanziamenti visto che i 27 hanno chiesto alla Commissione di presentare una proposta per finanziare l’assistenza ai profughi siriani. Ma non è detto che i soldi saranno sufficienti. Erdogan è già tornato alla carica chiedendo l’ingresso della Turchia nell’Unione europea e la liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini, due punti che, più dei soldi, sarebbero preziosi per lui sul fronte politico interno. Una questione delicata, visto che l’Europa è divisa nell’atteggiamento da assumere verso Ankara, con Grecia e Francia che, al contrario di Italia, Germania e Spagna, sono contrarie all’ipotesi di un’apertura. Gli esiti dell’incontro di oggi verranno esaminati nel prossimo vertice Ue di giugno, e c’è da scommettere su quale sarà l’atmosfera.