In migliaia sono scesi in strada lunedì sera a Québec City, sfidando il freddo pungente, per testimoniare increduli il loro sostegno alle famiglie delle vittime.
Il giorno dopo uno dei più gravi attacchi armati del Canada, avvenuto durante la preghiera serale nel centro culturale islamico del quartiere Sainte-Foy, in cui sei uomini sono morti e diciannove feriti (cinque dei quali sono ancora ricoverati in ospedale, due in gravi condizioni), la provincia francofona canadese del Québec si è stretta intorno ai cittadini di origine musulmana.

TUTTO IL CANADA ha dimostrato sostegno alle vittime e alle loro famiglie. «Sono cittadini come tutti gli altri», ha sottolineato Philippe Couillard, il premier della provincia, negli ultimi anni teatro di accese polemiche sull’abolizione dei simboli religiosi nei posti pubblici e sul bando della jihab per gli impiegati statali.
Couillard ha ricordato come le parole feriscano come coltelli e ora più che mai bisogna fare attenzione a come proseguire il dibattito e a fermare le dimostrazioni di intolleranza avvenute in passato nei confronti dei cittadini di fede islamica.

Intanto, per ora c’è un solo sospetto aggressore, Alexandre Bissonette, che rimarrà in custodia delle autorità fino alla prima apparizione in tribunale il 21 febbraio e che ha ricevuto sei capi d’accusa per omicidio di primo grado e cinque per tentato omicidio.

L’ATTACCO è al momento trattato dalla polizia locale come «terroristico» (come anche reiterato dal primo ministro canadese Justin Trudeau), il peggiore mai avvenuto in Canada, dopo le decine di attacchi degli anni tra 1963 e il 1970 nell’era del Fronte di Liberazione del Québec, in cui morirono otto persone, incluso il vicepremier e ministro di cabinetto dell’epoca Pierre Laporte.
Bisonette potrebbe ricevere in seguito anche capi di accusa per terrorismo. Al giovane ventisettenne, studente a Laval, sono state bloccate tutte le attività universitarie, mentre l’organizzazione no profit Héma-Québec, per cui lavorava al call centre e che si occupa delle donazioni di sangue per la provincia, ha subito preso le distanze.

BISSONNETTE È DESCRITTO da una vicina di casa come un giovane introverso e da molti come un «lupo solitario». Appena il suo nome è cominciato a circolare, si è saputo che era noto a diversi attivisti quebecchesi e al gruppo Facebook «Bienvenue aux réfugié», per le sue posizioni antifeministe, di estrema destra e pro-Le Pen, leader del Fronte Nazionale francese, dimostrate all’università e sulla sua pagina Facebook, dove aveva pubblicato foto di quando era giovanissimo cadetto, e che è stata chiusa.

I SEI UOMINI UCCISI erano tutti padri di famiglia. Khaled Belkacemi, 60 anni, era ricercatore all’università Laval; Abdelkrim Hassane, 41, lavorava come programmatore analista per il governo del Quebec, dopo aver lavorato per la polizia provinciale; Mamadou Tanou Barry, 42, and Ibrahima Barry, 39 erano amici inseparabili, entrambi impiegati statali e entrambi provenienti dalla Guinea, nell’Africa occidentale; Boubaker Thabti, 44, era farmacista; e Azzeddine Soufiane, 57 anni, aveva un negozio di alimentari.

Erano tutti arrivati in Canada in cerca di una vita migliore e tutti perfettamente integrati nel tessuto canadese.
Soufiane era diventato «una voce per la pace», dopo alcuni messaggi anti-islamici che la moschea aveva ricevuto sette anni fa quando aveva cambiato sede.
«Io ho vissuto per vent’anni a Québec City e non ho mai avuto un problema» aveva detto all’epoca in un’intervista al quotidiano Le Soleil, «Noi viviamo in pace e così vogliamo continuare».