Trent’anni dopo la firma della Convenzione Onu per combattere desertificazione e siccità (Unccd), sono 4 miliardi le persone nel mondo, quasi una su 2, a sperimentare per un mese all’anno condizioni di siccità estrema. Il numero degli eventi siccitosi è aumentato del 29% dal 2000 ad oggi rispetto ai due decenni precedenti e non esistono Paesi che ne siano immuni. Dal 1979 al 2019 si stima che le morti dovute a siccità siano state 650mila, il 90% delle quali nei Paesi in via di sviluppo, mentre saranno da 250 a 700 milioni (stime rispettivamente di World Bank e Unccd) le persone nel mondo che nel 2030 potrebbero dover migrare in cerca di acqua. A soffrire le maggiori conseguenze della mancanza di acqua sono donne e bambini che non riescono ad avere soddisfacenti livelli di nutrizione e di conseguenza di salute ed educazione. Le perdite economiche riconducibili alla siccità non vengono quantificate da Unccd che registra però il loro aumento negli ultimi decenni.

DESERTIFICAZIONE E SICCITÀ – di cui ieri nel mondo si celebrava a Madrid la giornata mondiale – oscurati mediaticamente da guerra, Covid e spread – sono tra gli effetti più drammatici, preoccupanti ed ormai visibili dei cambiamenti climatici. I letti dei nostri fiumi in secca in primavera ne sono la foto più emblematica.

LA BEFFA È CHE, SUL PIANETA, le precipitazioni sono in aumento a causa del riscaldamento globale e dell’evapo-traspirazione, ma si sa che l’acqua dolce è distribuita in modo non omogeneo sulla crosta terrestre, sia per questioni puramente fisiche e sia per differenze socio-economiche. Il clima impazzito si sta facendo beffe di entrambe. La mappatura del globo fornita da tre milioni di foto ad alta risoluzione del satellite Landsat mostra che la quantità di acqua dolce superficiale contenuta in laghi, fiumi e invasi o bacini artificiali è variata enormemente nel corso degli ultimi tre decenni: dal 1984 al 2015, sono si sono persi 90mila km quadrati di acqua superficiale, prevalentemente (70%) nel Medio Oriente e nell’Asia Centrale, mentre una quantità doppia (184mila km quadrati) di nuova superficie di acqua si è formata nel globo, ovunque tranne che in Oceania, dove si è invece registrata una perdita dell’1% (World atlas of desertification, JRC, 2018). Questo fenomeno si spiega con la fusione dei ghiacciai, che sta provocando, per esempio, l’espansione del 20% dei laghi del Plateau Tibetano, e soprattutto con la massiva costruzione di dighe in tutto il mondo, che, se garantiscono l’approvvigionamento idrico, il controllo delle alluvioni e la produzione idroelettrica, provocano anche danni ambientali e notevoli impatti sulle comunità locali.

CON L’ACQUA CHE MIGRA nel pianeta, migrano le persone, perché «specialmente la siccità, alimenta il circolo vizioso della povertà, provocando l’ampliamento delle disuguaglianze all’interno degli Stati e tra gli Stati» che affrontano processi di sviluppo disuguali, sottolinea l’ultimo rapporto sull’impatto dei cambiamenti climatici dell’Ipcc. Se il numero di rifugiati nel mondo è in crescita lo si deve anche, secondo l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, alla grave siccità che negli ultimi anni ha colpito in modo particolare l’Afganistan, i Paesi dell’Africa del sud est e del Corno d’Africa oltre a Uganda, Ciad e Sudan, dove crisi climatica e conflitti non fanno che aggravarsi vicendevolmente. Come sappiamo in Europa non siamo al riparo: il Po e il Danubio stanno soffrendo una crisi che ha pochi precedenti nell’ultimo secolo: oggi, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, il 15% del territorio e il 17% della popolazione europea è colpita dalla scarsità d’acqua. Negli Stati Uniti, la perdita dei raccolti e altri danni associati alla siccità vengono quantificati in 249 miliardi di dollari dal 1980 al oggi (Noaa-Ncei, 2021). In Australia, quella che ormai viene chiamata la Siccità del Millennio (Australian millennium drought) la produttività agricola è diminuita del 18% dal 2002 al 2010.

TUTTAVIA, LA SICCITÀ E I SUOI effetti si possono prevenire, mitigare e combattere, là dove c’è volontà politica e le comunità sono messe in grado di affrontarla. Secondo Unccd gli Stati stanno «radicalmente cambiando il modo di affrontare il problema delle scarsità idrica, della desertificazione, della degradazione dei suoli». All’interno della Convenzione, 128 Stati hanno espresso la volontà politica di arrivare alla Land degradation neutrality, cioè ad adoperarsi per arrestare la perdita di fertilità dei suoli. Alcuni esempi sono incoraggianti: in Niger, con l’introduzione di sistemi di agroecologia e agroforestazione si è riusciti a ridurre in modo considerevole il rischio di siccità su un’estensione di 5 milioni di ettari per 20 anni al costo irrisorio di 20 dollari per ettaro, perché un suolo fertile e ricco di sostanza organica è in grado di trattenere meglio l’acqua e ottimizzare il suo bisogno idrico.
I programmi di agricoltura rigenerativa e di rigenerazione naturale delle foreste hanno un costo iniziale di 50-800 dollari per ettaro, costi annuali di mantenimento di 150-1500 dollari per ettaro, ma un ritorno economico di 250-3500 dollari per ettaro. Quando sarà chiaro che la rigenerazione può essere anche un buon affare?

NATURALMENTE, NON C’È evento siccitoso che si possa prevenire se non si intensifica la lotta al riscaldamento globale tagliando le emissioni che alterano il clima, nel rispetto degli Accordi di Parigi, perché ogni centesimo di grado di aumento della temperatura fa aumentare il rischio siccità in alcune zone del mondo, mentre nelle altre aumenta il rischio di alluvioni.