Otto milioni di lavoratori senza contratto, che a dicembre saranno già 12 milioni. Tra loro ci sono gli oltre 3 milioni di dipendenti del pubblico impiego, che non vedono un aumento ormai da sette anni. Cgil, Cisl e Uil – coscienti dell’inevitabile pausa agostana – preparano però una sorta di autunno «caldo». Ma non è ancora il momento dello sciopero, e neppure quello delle mobilitazioni: prima bisogna capire se il governo e le imprese daranno le loro risposte. Ieri un attivo a Roma delle tre confederazioni, che se da un lato risultano quanto mai compatte, dall’altro sono perennemente a rischio “scivolamento” nell’agenda politica: l’esecutivo guidato da Matteo Renzi ultimamente le ha incluse un po’ di più, ma non le mette mai tra gli interlocutori privilegiati, o perlomeno paritari. Niente soluzione per le pensioni, almeno per ora, e dall’altro lato tavoli pesanti come quelli di Federmeccanica e Federdistribuzione rimangono in un pericoloso stallo.

Un messaggio che insieme si rivolge al premier Matteo Renzi e al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: se non partono serie trattative per i rinnovi, se non si stanzieranno risorse congrue per lavoratori pubblici e pensioni, in settembre ripartiranno le mobilitazioni. «La parola sciopero non mi fa paura – conclude l’attivo dei delegati il segretario della Uil Carmelo Barbagallo – Ma io prima che a fare sciopero penso a portare a casa un accordo. Certo, però, se il tavolo ce lo rovesciano, allora noi lottiamo».

È la segretaria Cisl Annamaria Furlan a ricordare, nella sua relazione di apertura, quanto sia scoperto oggi il fronte dei contratti. L’esempio dovrebbe partire dalla ministra Marianna Madia, che «dando seguito alle dichiarazioni sui giornali, ora dovrebbe convocarci». «Ma subito, già in luglio». D’altronde c’è una sentenza di oltre un anno fa (giugno 2015) della Corte costituzionale: imporrebbe il rinnovo nel pubblico impiego.

«Rigidità e oltranzismo», invece, Furlan li ravvisa nei comportamenti di Federmeccanica, che vorrebbe offrire i rinnovi solo al 5% dei lavoratori. E «inconcepibile» è la chiusura di Federdistribuzione. A Boccia, più in generale, i tre sindacati fanno sapere che intendono avanzare in parallelo sia sui tavoli aperti che nella trattativa sul modello. Con un faro comune ai due percorsi, spiega Furlan: «Il contratto nazionale continua a essere centrale per noi, come è importantissimo il secondo livello. Ma a chi pone l’alternativa tra i due, ricordiamo che oggi solo il 20% delle imprese italiane fa contrattazione in azienda o nel territorio».

Il contratto nazionale tutela i diritti dell’85% delle persone che lavorano, ma fa anche politica economica: «L’80% delle imprese italiane produce per i consumi interni: chi lo compra poi il made in Italy?».

La segretaria Cgil Susanna Camusso ricorda che i contratti svolgono un’altra funzione ancora: regolano il far west dei settori. Come quello del turismo, caratterizzato dalla concorrenza al massimo ribasso, grazie al sommerso dilagante e all’esplosione dei voucher. Imprese che innovano, che investono, che vogliono crescere, devono avere respiro, cercare parametri di qualità.

E poi i contratti includono, «come quello dell’Igiene ambientale, appena firmato: perché inseriscono le clausole sociali, le garanzie negli appalti e per i precari». E ai «neofiti del mondo della contrattazione», Camusso ricorda che «i primi accordi che regolarono il rapporto tra primo e secondo livello risalgono al 1959». Ma «per sviluppare il secondo livello, non siamo disposti a rinunciare al primo: il governo, allora, invece di occuparsi delle materie delle parti sociali, cominci dallo sbloccare i salari accessori e il secondo livello per il pubblico».

Risposte «immediate» chiede anche Carmelo Barbagallo. Sulle pensioni, innanzitutto: «Altro che mutuo, altro che Ape: lo Stato finanzi l’uscita di chi viene licenziato da anziano, di chi fa lavori usuranti o è precoce, vari l’ottava salvaguardia per gli esodati».

Poi ricorda che «nel contratto dell’Igiene ambientale si è reintrodotta la tutela contro i licenziamenti ingiusti», e così invita tutto il sindacato a «riconquistare con i contratti quanto ci hanno tolto con le leggi».

Infine, la legge di Stabilità: «Per il pubblico impiego si mettano più soldi rispetto ai 300 milioni di oggi, perché le caramelle non ci bastano. Si può fare un accordo prevedendo risorse su più anni: però si faccia».