I ministri delle Finanze riuniti a Santiago di Compostela per il vertice informale Ecofin ci provano a strappare a Giorgetti un impegno preciso sulla ratifica della riforma del Mes. Niente da fare. Il presidente Donohoe e i 19 ministri devono accontentarsi di calcare ulteriormente la mano e di tenere il ministro italiano sotto pressione ricordandogli, come se non lo sapesse già, che tutta l’eurozona è appesa alle decisioni di Roma.

È lo stesso Donohoe a fare il punto, un po’ sconsolato: «Riconosciamo e apprezziamo gli sforzi di Giorgetti, che ci ha descritto le sfide della situazione politica in Italia. Ma non ci aspettiamo realisticamente che qualcuno sia in grado di garantire i risultati». L’irlandese non manca di segnalare che «le conseguenze di questo dibattito vanno oltre l’Italia» e che lo stesso Giorgetti «è ben consapevole della dimensione europea della riforma». Ecofin, conclude, «continua a fidarsi e a dipendere dai suoi sforzi». Giorgetti, fosse per lui, avrebbe già ratificato Ma con Salvini pronto a sfilarsi al momento del voto, per poi lucrare sulla riforma approvata grazie alla convergenza tra FdI e Pd, la strada è sbarrata. «Di Mes si è parlato in modo molto marginale e Giorgetti ha ribadito che in parlamento non c’è maggioranza per la ratifica», informa una anonima fonte del governo.

Del resto di dossier aperti a Santiago ce ne sono tanti, a partire dalla nomina del presidente della Bei, con 5 candidati in campo e nessuna decisione presa. La spagnola Nadia Calvino è ancora in pole position ma la presenza imprevista del candidato italiano, Daniele Franco, dimostra che i giochi non sono ancora fatti. Il dossier più importante, quello della riforma del Patto di Stabilità, ieri non si è neppure aperto. Se ne parlerà solo stamattina e nessuno prevede passi avanti, neppure modesti. Per un’ipotesi di mediazione bisognerà aspettare ottobre o novembre. I nodi sono quelli di sempre: la richiesta tedesca di fissare precisi obiettivi annuali di riduzione del debito, i margini di discrezionalità della Commissione nelle trattative con i singoli Stati, che Germania e frugali vogliono ridurre, l’automatismo delle misure per il rientro nei parametri per chi sfonda il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. il ministro delle Finanze tedesco Lindner ha già messo le carte in tavola: «Per noi è importante che, oltre ad un approccio realistico, si tenga conto anche del fatto che questo approccio porti l’anno prossimo ad abbassare i deficit e a ridurre i livelli di debito». Rigore, rigore, rigore.

Di quel che più interessa all’Italia, la richiesta di scorporo degli investimenti strategici dal deficit, nel tavolo di oggi non si discuterà neppure alla lontana. Quella è una trattativa parallela, difficilissima e sulla quale inevitabilmente inciderà la scelta dell’Italia sulla riforma del Mes.

A Santiago nessun ministro ha trovato niente da ridire sulla scelta della Bce di alzare per la decima volta consecutiva i tassi d’interesse. Lo annuncia la stessa presidente Lagarde: «Ho spiegato le motivazioni e sono state molto ben comprese». Giorgetti, però, fa sapere di aver preferito non intervenire ma di non condividere la decisione della Bce. Ove non fosse già chiaro, la presidente rilancia il suo grido di guerra: «Vi assicuro che domeremo l’inflazione e torneremo al 2%». Costi quel che costi e sta costando molto.

In realtà i dati della Bce rivelano una contraddizione. Da un lato si annuncia l’ennesima stretta contro l’inflazione. Dall’altro viene rivista al rialzo, da 3% al 3,3%, la previsione dell’inflazione per il 2024, in seguito all’aumento dei costi di petrolio e gas. Il primo aspetto allarmante è che l’inflazione derivata dai costi dell’energia sfugge al controllo esercitato con il rialzo dei tassi: il rischio di nuovi rialzi l’anno prossimo, dopo una pausa che al momento dovrebbe essere certa, esiste. Il secondo dato è che in questa condizione un abbassamento dei tassi l’anno prossimo è, se non impossibile, molto improbabile. L’economia italiana, particolarmente dipendente dal credito come la stessa Bce ammette, resterà soffocata per tutto il 2024. Senza registrare gran sollievo sul fronte dei prezzi. Ieri sono usciti i dati sull’inflazione di settembre. Cala di poco, sino al 5,4%. Ma nel comparto alimentare, quello più nevralgico, è invece ancora al 9,4%. Con la corsa dei carburanti che non accenna a fermarsi.