Meloni e Ursula von der Leyen fanno campagna elettorale a braccetto. Le zone alluvionate dell’Emilia-Romagna sono l’occasione perfetta per una passerella che guarda alle elezioni di giugno più che alla sorte degli alluvionati. Cinguettano, promettono, si fanno ritrarre in foto ricordo di massa, con l’ospite governatore Bonaccini, il ministro Fitto, il commissario Figliuolo e i sindaci dei comuni colpiti. La presidente della commissione, uscente ma decisa a rientrare, confessa che tornare nella regione flagellata è «commovente», promette di «aiutare a rimettervi in piedi», si delizia ricordando «il profumo della piadina».

Soprattutto non lesina complimenti all’amica e alleata italiana: «Sul Pnrr l’Italia è assolutamente in linea con la tabella di marcia». La premier, pronta a votare a braccetto con chiunque pur di confermare la presidenza von der Leyen e di portare a casa il commissario che sceglierà lei, canta vittoria, rivendica la revisione del Pnrr «che dicevano fosse impossibile e invece era possibile e doverosa», si fregia dello stanziamento di un miliardo e 200 milioni del Pnrr per le aree alluvionate. Poi lancia in una sfida ambiziosa: «Diventeremo il primo Paese per capacità di spendere i fondi europei». Partendo dalla coda della classifica ce ne vorrà.

MESSINSCENA ELETTORALE a parte, la premier ha motivi reali di soddisfazione. In Europa ha giocato bene le sue carte e grazie alle elezioni imminenti e all’asse con i Popolari e von der Leyen è riuscita a non pagare dazio per una decisione clamorosa come quella di affossare la riforma del Mes, che in altri tempi avrebbe avuto conseguenze letali. Sfida la Commissione anche sul fronte rovente delle concessioni balneari, chiedendo di fatto, pur fra le righe, di prorogare fino alla fine del 2025 le attuali concessioni. Un’altra mossa che, in altra temperie, avrebbe implicato uno scontro durissimo e non è detto che non sia così nonostante il clima pre-elettorale.

IL GUAIO PRINCIPALE, per la premier, è la sindrome da onnipotenza da cui sembra essere stata colta. Sulla candidatura alle europee non ha ancora deciso. Teme che candidarsi per poi non andare davvero a Strasburgo comporti un ritorno d’immagine troppo negativo. Ma nel suo stato maggiore si fregano le mani convinti di aver comunque attirato Schlein in una trappola, spingendola verso una candidatura europea che finirà per costarle la leadership a favore di un segretario Pd più gradito, magari proprio Bonaccini. L’idea di scegliersi anche il leader dell’opposizione dice molto su quella «sindrome» che si rivela ormai quotidianamente nei rapporti con gli alleati, in particolare con la Lega.

IERI SALVINI ha assicurato che con l’alleata «non è mai andato tanto d’accordo» ed è andato vicino ad annunciare una resa del resto inevitabile in Sardegna: «In linea di principio sono sempre favorevole alla ricandidatura degli assenti ma in nome dell’unità del centrodestra troveremo un accordo». Per Solinas, già indagato, è stato disposto ieri il sequestro dei beni ed è il colpo di grazia. Su cosa si basi il perfetto accordo però è misterioso. Martedì, a latere del consiglio dei ministri, i due hanno affrontato, senza Tajani, il nodo del terzo mandato e la premier è rimasta ferma nel suo no. Lo stesso rinvio del dl sull’election day è dovuto proprio ai dubbi sull’opportunità di cancellare il limite dei mandati per i sindaci dei piccoli comuni. Farlo ora significherebbe aprire un varco alla richiesta di Salvini sui mandati dei governatori.

PER LA PREMIER la conquista del Veneto è essenziale: vuole che il suo partito governi almeno una delle tre regioni industriali del nord. Ma il limite le renderebbe più facili anche le sfide nelle Regioni che spera di sottrarre alla sinistra. In Emilia l’assenza di Bonaccini, che non potrebbe ricandidarsi, dovrebbe essere essenziale. In Puglia e Campania, gli altri due traguardi a cui mira Meloni, le cose sono meno automatiche perché le due Regioni non hanno adottato la legge sui due mandati ma certo la missione di Giorgia sarebbe comunque più facile. Ma di sberla in sberla il rischio che alla prima occasione utile siano proprio gli alleati a tentare lo sgambetto è inevitabile.