Salvo improbabilissime sorprese domani Giorgia Meloni sarà più forte e più debole. Con l’opposizione divisa la vittoria della destra nelle due regioni più importanti d’Italia sembra cosa già fatta.

Ma scommettere su una divisione eterna delle opposizioni, in un Paese dove tutto cambia continuamente, sarebbe un azzardo tanto più che al previsto immenso vantaggio di FdI su tutti gli altri partiti potebbe non corrispondere affatto quello della destra nel complesso.

Qualche ombra sulla probabile vittoria di Sorella Giorgia potrebbe esserci. Molto dipenderà dall’affluenza. Stravincere con un’affluenza bassa o molto bassa confermerebbe che il successo della destra dipende dall’assenza di una credibile offerta alternativa.

Una percentuale alta con buona affluenza, invece, veicolerebbe un messaggio opposto e a tremare dovrebbero essere in quel caso le opposizioni.

MA SI SA, QUESTO È ancora il meno. Le vere spine riguardano i rapporti di forza nella maggioranza, soprattutto in Lombardia.

Nel 2018, l’anno d’oro di Salvini, il Carroccio aveva sfiorato il 20%, doppiando Fi, altro partito con radici affondate in Lombardia ma che si era fermato a un allora quasi deludente 14,3%. FdI era il parente povero, con un 3,6% che era già tanto rispetto alla prova precedente, quando il neonato partitino non era andato oltre il prefisso telefonico, 1,5%.

Nulla di sorprendente: la Lombardia era da tre decenni la roccaforte leghista e forzista, dove anche l’An di Fini non era mai andata oltre il 10%. Non è andata così lo scorso settembre e non andrà così stavolta.

Solo che ora non si parla di sorpasso o di Lega doppiata ma addirittura di una FdI tre volte più forte del Cacroccio, e di una Forza Italia in ginocchio.

Sarebbe un terremoto, e se la capopartito Giorgia trionfasse la premier Meloni si troverebbe in un grosso guaio. La Lega era già stata prosciugata dall’esperienza del governo Draghi ma stavolta a esigere un pedaggio pesantissimo sarebbe la presenza in un governo di destra, senza possibilità di scaricare la responsabilità sull’innaturale alleanza con i rivali.

LA POLTRONA DI SALVINI, in caso di disastro in Lombardia, vacillerebbe e un cambio della guardia al vertice della Lega scombussolerebbe l’intera impostazione del governo, ma soprattutto la Lega sarebbe costretta a diventare molto più aggressiva ed esosa.

La premier ha concesso di malavoglia un passo sulla strada dell’autonomia differenziata proprio per cercare di evitare la rotta leghista, ma lo ha fatto tardi, dopo aver lasciato il Carroccio a bocca asciutta per tre mesi e quasi certamente con il retropensiero di frenare in futuro. Ma per una Lega penalizzata e a rischio di scomparsa strappare una forma estrema di autonomia diventerà invece questione di vita o di morte.

I RAPPORTI DI FORZA CHE verranno registrati nel Lazio sono meno potenzialmente deflagranti, perché si tratta della Regione roccaforte di An e poi di FdI da sempre.

Ma anche qui uno scarto esagerato rispetto a Forza Italia moltiplicherebbe le spinte centrifughe che già esistono e che dovrebbero essere comunque incentivate dalla Lombardia.

Certo, una parte dei voti di Letizia Moratti potrebbe essere considerata da Arcore, non senza ragione, come “in libera uscita”. Ma tanto più un risultato positivo o superiore alle aspettative di Moratti indicherebbe con segnale fluorescente la possibile uscita di sicurezza: quella che porta alla creazione di un polo centrista con Renzi e Calenda.

LA PREMIER SI POTREBBE trovare dunque nella paradossale situazione di essere allo stesso tempo trionfante nella destra ma alla guida di un governo molto più instabile: un disegno che si intreccerebbe con la sconfitta politica che sta prendendo forma in Europa.

Le genuflessioni di fronte all’altare del rigore e un atlantismo estremo non sono bastati né si intravedono rovesciamenti del quadro, anche se a marzo dovrebbe esserci un incontro tra Italia e Francia a Roma sulle questioni economiche.

In queste condizioni, per tenere a bada la sua maggioranza e fronteggiare l’assedio in Europa, Giorgia potrebbe essere costretta a rispolverare l’arsenale sovranista messo da parte, dichiarazioni fragorose ma vuote a parte, da quando è entrata a palazzo Chigi.