«Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile». Sta nell’articolo 1 il succo delle ordinanze con cui l’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) vuole bandire dai cieli del Mediterraneo centrale gli aerei delle organizzazioni non governative.

UNA RAFFICA di provvedimenti emessi in serie: il 3 maggio per gli aeroporti di Lampedusa, Pantelleria, Comiso e Catania Fontanarossa; il 6 per quelli di Trapani Birgi, Palermo Punta Raisi e Palermo Bocca di Falco. I testi, tutti uguali, sono stati caricati online solo ieri e l’altro ieri. A finire nel mirino Pilots Volontaires e Sea-Watch, i cui velivoli Colibrì e SeaBird 1 e 2 fanno base sull’isola di Lampedusa e monitorano dall’alto quanto accade nel tratto di mare che unisce le coste nordafricane a quelle della Sicilia. Da lì lanciano gli allarmi per le imbarcazioni in pericolo, informano le autorità competenti e le navi umanitarie, riprendono e denunciano le violazioni dei diritti umani commesse spesso e volentieri dalle milizie libiche.

Nei confronti di questi testimoni scomodi era difficile sbandierare il teorema del pull factor, cioè del presunto incentivo alle partenze dei migranti che sarebbe generato dalle navi di soccorso. Per il resto, comunque, l’armamentario linguistico e argomentativo è lo stesso utilizzato nei confronti dei mezzi marittimi.

LE ORDINANZE si intitolano: «Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ong sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale». Affermano che il controllo delle attività di ricerca e soccorso deve essere monopolio dello Stato. Prendono atto di segnalazioni dell’autorità marittima, dunque della guardia costiera, circa «reiterate attività effettuate da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane».

Sostengono, come il decreto Piantedosi di gennaio 2023, che le ong eludono il quadro normativo di riferimento e i loro interventi rischiano di «compromettere l’incolumità delle persone migranti» e aumentano il carico di lavoro della guardia costiera.

NON SI È fatta attendere la risposta di Sea-Watch: «Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ong come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo». Dichiarazione a cui segue una promessa: «Non fermeremo le operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei».

Secondo la portavoce della ong Giorgia Linardi questa mossa va letta insieme «alla visita in Libia della premier Giorgia Meloni e alla nuova stretta sulle deportazioni dalla Tunisia». In ogni caso, sottolinea Linardi, «non è la prima volta che si tenta di interdire le nostre operazioni aeree. Finora il diritto ci ha sempre dato ragione».

UN PAIO DI MESI FA le ong avevano ricevuto una missiva dell’Enac, che è sotto il controllo del ministero delle Infrastrutture e trasporti guidato da Matteo Salvini (Lega), in cui veniva ribadito con toni minacciosi che l’attività Sar è prerogativa dello Stato. Nel 2019 e 2020 c’erano state altre interdizioni al volo con motivazioni analoghe.

Le nuove ordinanze non specificano quali norme del codice della navigazione sarebbero violate dalle ong e dunque su quale base potrebbero essere disposti i fermi. Il manifesto lo ha chiesto all’Enac, che non ha risposto.

SOLO TRA GENNAIO E MARZO di quest’anno i due aerei di Sea-Watch hanno condotto 40 missioni per un totale di 205 ore di volo. Hanno avvistato 2.755 persone in pericolo a bordo di 47 imbarcazioni.

Tra queste oltre 700 sono state intercettate e ricondotte con la forza a Tripoli dalla sedicente «guardia costiera» libica. In otto casi che hanno avuto questo esito l’ong ha denunciato il coinvolgimento dell’agenzia europea Frontex.