I sindacati iniziano a muoversi contro la manovra del governo Meloni. Per ora si tratta solo di annunci di mobilitazioni da parte di alcune categorie – pensionati e sanità in testa – con le confederazioni ancora abbastanza coperte.

Oggi Bombardieri riunirà la segreteria della Uil, domani Landini riunirà i segretari di categoria. Quanto alla Cisl, Luigi Sbarra appena varata la legge di bilancio ha dato giudizi fin troppo lusinghieri sui provvedimenti ma ora molte categorie, a partire dalla sanità stanno invece protestando unitariamente.

MEDICI, VETERINARI, SANITARI infatti bocciano la manovra che mette in campo «solo briciole per la sanità». E si dichiarano pronti allo stato di agitazione. «Da troppo tempo si sta seminando vento. Nessuno si meravigli se si raccoglie tempesta. La sanità pubblica si fermerà ore, giorni, settimane per non fermarsi per sempre», scrivono in una nota congiunta di «confederali» – Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, Uil Fpl medica, veterinaria sanitaria; Cisl medici – più i sindacati autonomi (ma molto rappresentativi) Anaao Assomed, Cimo-Fesmed, Aaroi-Emac, Fassid. «Le fughe di massa dei professionisti, insieme con l’insoddisfazione e lo scontento di chi non fugge suonano un allarme che, però, non arriva alle orecchie del ministro della Salute e del governo che non vedono organici drammaticamente ridotti al lumicino al punto da mettere a rischio l’accesso dei cittadini alla prevenzione e alle cure. Le condizioni di lavoro dei dirigenti medici, veterinari e sanitari, divenute insopportabili, alimentano uno stato di crisi della sanità pubblica che ha ridotto il Ssn a malato terminale».

Sul piede di guerra da due giorni – come anticipato dal manifesto – ci sono già i pensionati. Da settimane l’ineffabile ministro Giorgetti aveva sbandierato i costi insostenibili della sacrosanta rivalutazione delle pensioni – dovuta alla legge che le adegua al costo della vita diversamente dai salari – con l’Istat che l’aveva fissata al 7,3% per il 2023. Giorgetti aveva stimato il costo in 50 miliardi da qui al 2025. Così ha deciso che in manovra il capitolo pensioni invece sarà un risparmio: sforbiciando la rivalutazione per gli assegni sopra 4 volte il minimo – 2.100 lordi al mese, meno di 1.700 netti – ha risparmiato 10 miliardi nel triennio. Una cifra molto maggiore dei costi stimati – come al solito volutamente esagerati – di Quota 103, l’ultimo terno al lotto per andare in pensione anticipata avendo almeno 41 anni di contributi e 62 di età. Il costo nel triennio è di 2,5 miliardi per la platea potenziale di 46 mila lavoratori che già sanno che la loro uscita sarà ritardata dalla finestra mobile dai 4 ai 7 mesi. Dunque per il capitolo previdenza la legge di Bilancio ha un saldo positivo nel triennio di ben 7,5 miliardi.

È TORNATO A PROTESTARE lo Spi Cgil che già martedì aveva stimato il taglio per 4,3 milioni di pensionati di oltre 1.200 euro l’anno. «I pensionati italiani sono trattati come bancomat – attacca il segretario generale Ivan Pedretti – . Pensioni da 1.500/1.600 euro netti al mese, frutto di oltre 40 anni di lavoro e di contributi versati, fatte passare per ricche. Il meccanismo di rivalutazione cancellato e riscritto senza confronto. Con questi soldi fanno condoni, aumentano il tetto del contante, favoriscono i furbi e gli evasori. Risponderemo», annuncia mobilitazioni Pedretti.

IERI GLI HA FATTO ECO la Uilp. Il blocco della rivalutazione «è una profonda ingiustizia» contro cui la Uil e i pensionati del sindacato «si batteranno anche attraverso forme di mobilitazione», annunciano il segretario confederale Domenico Proietti e il leader dei pensionati Carmelo Barbagallo, ad annunciare la reazione della confederazione dopo la «marcia indietro dell’esecutivo che dopo meno di un mese dal decreto che ufficializzava la rivalutazione delle pensioni del 7,3% prevede un taglio della perequazione per il 2023. Anche l’attuale governo ripete l’errore dei governi passati, continuando a fare bancomat sui pensionati italiani.

LE STIME DELLA UIL sono leggermente inferiori a quelle della Cgi ma ugualmente pesanti: «si traduce in una perdita di circa 450 euro l’anno per una pensione superiore a 4 volte il minimo. Ma «si aggiunge ai tagli, blocchi e congelamenti che dal 2011 (governo Monti) sono stati operati sulle pensioni fino al 2021, un decennio che ha impattato notevolmente sul potere d’acquisto dei pensionati».

In casa Cisl si sono i primi scricchiolii: «La decisione del governo di rivalutare del 100% solo le pensioni fino a circa 2.000 euro lordi al mese non ci soddisfa pienamente e, soprattutto, non è quello che si aspettano i pensionati italiani», afferma la reggente della Fnp, Daniela Fumarola, che però è anche segretaria confederale Cisl.

A CRITICARE FORTEMENTE il governo arriva anche la Fiom. «Non possono pensare di fare da soli – attacca il segretario generale Michele De Palma – . Il ministro Urso ci convochi su industria e manovra come chiesto con Fim e Uilm. Non possiamo avere l’ennesima manovra senza nessun confronto. C’è una situazione di totale scollamento», osserva De Palma. «Noi la manovra non la conosciamo, ma da quello che abbiamo letto, andiamo avanti con provvedimenti tampone, mentre c’è bisogno di una visione», sottolinea De Palma.