Le «ragioni dei vinti» che da ormai molti anni non mancano di essere ricordate nei discorsi istituzionali del 25 aprile, sono rimaste del tutto fuori dal discorso di Sergio Mattarella per il 71esimo anniversario della Liberazione. Salito a Varallo, in quella Valsesia dalla gloriosa storia resistenziale, tanto da essere stata una delle prime repubbliche partigiane nel giugno del ’44, il presidente della Repubblica ha cominciato il suo intervento ricordando che «la Repubblica è nata qui, su queste montagne».
«Su questi monti, in queste valli, con il sacrificio del sangue è stata scritta la parola libertà», ha detto il presidente, ricordando i «quasi tremila partigiani combattenti, cinquecento caduti» della Valsesia. Leggendari comandanti come Cino Moscatelli ed Eraldo Gastone, partigiani comunisti ricordati da Mattarella anche per il loro impegno come parlamentari, Moscatelli fu deputato alla Costituente. Il capo dello stato ha sottolineato il legame tra Resistenza e Costituzione citando la celebre lezione di Piero Calamandrei agli studenti milanesi: «Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani…». L’eco del grande giurista fiorentino (uno dei costituenti più spesso citati da Mattarella), la memoria del suo celebre «ora e sempre Resistenza», è tornato anche quando il presidente ha esclamato «è sempre tempo di Resistenza».

In quel passaggio del suo discorso Sergio Mattarella stava in effetti citando Giuseppe Mazzini, che «sin dal Risorgimento ammoniva i tanti che speravano nell’intervento francese: “Più che la servitù temo la libertà recata in dono”». Passaggio assai importante del discorso di Mattarella, perché straordinariamente dissonante con le tante ricostruzioni che negli ultimi anni hanno cercato di svilire l’apporto della resistenza partigiana alla Liberazione. «L’unione delle democrazie fu decisiva, ma per la nostra libertà fu decisivo anche il contributo del nostro popolo», ha detto il capo dello stato. Che in un’altra parte del suo discorso ha invitato a «fare memori dell’insurrezione generale proclamata dal Cln Alta Italia che portò a scacciare il nemico dalle principali città del nord». Conseguentemente Mattarella ha criticato «le tesi revisioniste di comodo» invitando i giovani ad abbracciare «la causa della verità», traendo insegnamento dalla Resistenza che «ci dice che esistono grandi ideali e sogni da realizzare per cui vale la pena battersi, vi sono buone cause da far trionfare». Il discorso del presidente è stato anche un invito alla partecipazione: «La democrazia è proprio questo, essere protagonisti, insieme agli altri, del nostro domani».
«La partecipazione dei cittadini», ha ricostruito il capo dello stato, ha «una carica rivoluzionaria» che proprio la Resistenza ha portato al centro della politica italiana come «un bene che sarebbe divenuto cardine costituzionale». Con questa chiave di lettura, il presidente ha potuto fare giustizia anche di un’altra tesi revisionista, quella della Resistenza come fenomeno minoritario, estraneo alla stragrande maggioranza della popolazione. «La Resistenza interpretava il sentimento del paese», ha detto, «un sentimento che prima ancora che politico veniva dalla consapevolezza della comune appartenenza al genere umano, dalla ribellione all’orrore delle stragi, delle leggi razziali e della persecuzione degli ebrei».

Prima di concludere il suo discorso, Mattarella, presidente democristiano, ha esaltato l’esempio delle repubbliche partigiane, rintracciando in quell’orientamento «all’affermazione di valori democratici» la traccia profonda della scelta del 2 giugno 1946: «Il diffuso desiderio di pace e di libertà portava all’aspirazione condivisa di dar vita a una nuova Italia» e «i patimenti sofferti hanno fatto sì che l’Italia scegliesse la strada del ripudio della guerra». In conclusione: «Non esiste una condizione di “non guerra”, o si promuove la pace e la collaborazione, o si prepara lo scontro futuro».