Un battibecco a distanza per nulla diplomatico ha procurato ai due premier – greco e britannico – una figuraccia per ciascuno. Lo schiaffo più sonoro lo ha ricevuto Kyriakos Mitsotakis quando ha saputo dal portavoce di Downing Street che il previsto incontro con Rishi Sunak era stato annullato all’ultimo momento. Il primo ministro britannico aveva già fatto trapelare la sua irritazione per l’intervista di Mitsotakis trasmessa dalla Bbc il giorno precedente.

Di fronte alla telecamera, il premier greco aveva sollevato di nuovo il problema del ritorno in patria dei marmi del Partenone esposti al British Museum di Londra. I suoi argomenti erano debolissimi e imbarazzanti, come quando aveva paragonato i preziosi fregi alla Gioconda di Leonardo da Vinci, «tagliata in due ed esposta in due musei». Anche se la richiesta costante che attraversa tutti i governi greci è quella del necessario rientro dei marmi sull’Acropoli non per ragioni di proprietà ma per poter ricomporre il monumento nella sua integrità, Mitsotakis, probabilmente nella certezza che l’intervista sarebbe stata ritrasmessa nelle tv del suo paese, si era lasciato trascinare da toni nazionalisti del tutto fuori luogo. I negoziati con Londra, aveva affermato, «non sono andati avanti quanto avrei voluto. Ma sono un uomo paziente, abbiamo atteso per decine di anni e continuerò a insistere affinché la discussione rimanga aperta».
Sunak aveva deciso di poter incontrare Mitsotakis solo dopo un’assicurazione: il problema dei marmi del Partenone non sarebbe stato toccato, non era argomento da trattare.

Già l’anno scorso, il premier britannico aveva dichiarato di non volere in alcun modo modificare la legge che vieta al British Museum di restituire i marmi contesi. Lo aveva ripetuto poi in occasione della visita di Mitsotakis, giunto a Londra per incontrarsi con il re Carlo. Poco dopo, però, si era diffusa la notizia di sue riunioni segrete, accompagnato dal ministro degli esteri di Atene Yorgos Gerapetritis, con il direttore del British Museum George Osborne, in presenza anche di esponenti del governo britannico.
Il giorno stesso dell’arrivo di Mitsotakis a Londra, Sunak non ha fatto altro che ribadire la sua posizione, affidando al suo portavoce la sentenza: il British «rimane il posto giusto dove far alloggiare queste antichità» (dimenticando però il recente scandalo dei furti di reperti conservati nel museo).
Per i media greci, lo schiaffo di Sunak sarebbe dovuto anche all’incontro che Mitsotakis aveva avuto in precedenza con il leader dei Laburisti Keir Starmer il quale, secondo fonti greche e britanniche, si sarebbe mostrato favorevole alla sua richiesta. Eppure i diplomatici dell’ambasciata greca (luogo che aveva ospitato il meeting), non avevano fatto cenno, nella loro informativa destinata alla stampa, della contesa sui marmi del Partenone. Tanto che, tra i giornalisti greci che seguivano la visita londinese, era serpeggiato il dubbio che l’argomento non fosse stato neanche sfiorato.

Da più di un anno, Mitsotakis cerca di coltivare un’immagine di sé che superi lo stretto ambito dell’attualità politica e metta da parte la sua immensa ricchezza. Qualcosa che lo possa rendere un personaggio di rilevanza storica, un «eroe della nazione» o un «etnarca». I marmi del Partenone sono la carta ideale da giocarsi a questo scopo, visto che anche l’Unesco ha mostrato comprensione per il desiderio (non solo dei greci ma anche di studiosi e appassionati di antichità) di vedere finalmente il Partenone con i fregi sottratti da Lord Elgin. È costretto ad occuparsene in prima persona poiché il suo governo della destra neoliberista, indirizzato unicamente verso la svendita della Grecia al miglior offerente, non dispone di politici in grado di comprendere e gestire questo delicato argomento. Meno di tutti la ministra della Cultura, da sempre in guerra con gli archeologi greci e non solo con loro.