Mario Telò è scomparso la sera del 6 marzo a Bruxelles, città che lo aveva «adottato» alla fine degli anni Ottanta. Nato a Cremona nel 1950, Telò si era avvicinato, poco più che ventenne e sulla scia del ’68, al gruppo del manifesto e al suo movimento politico, contribuendo sin da subito ad arricchire il dibattito interno di questo pezzo di nuova sinistra. Nei primi anni Settanta, Mario si era laureato in Filosofia all’Università di Firenze, discutendo con Furio Cerutti una tesi sul pensiero di Antonio Gramsci (una traccia di questa ricerca è il saggio Strategia consiliare e sviluppo capitalistico in Gramsci, raccolto in numero monografico di «Problemi del socialismo», dedicato proprio ai temi del consiliarismo).

LO STUDIO DI GRAMSCI permise a Telò di incrociare la controversa figura di Henri De Man, leader socialista nel Belgio degli anni Trenta e teorico del planismo, ossia della necessità di avviare, già in un contesto capitalistico, una pianificazione economica parziale tale da arginare la disoccupazione crescente e da avviare un processo di transizione al socialismo.
Una scoperta, quest’ultima, fondamentale per l’attività di ricerca di Mario Telò – nel frattempo divenuto borsista della Fondazione Basso-Issoco –, giacché è proprio a partire dalle innovazioni di politica congiunturale prodotte dal socialismo belga che decide di avviare un’originale ricerca comparativa sulle politiche economiche dei partiti socialisti, che sfocerà nel volume La socialdemocrazia europea nella crisi degli anni ‘30 (1985), significativamente reintitolato, nell’edizione belga, Le New Deal européen.

Quel difficile tornante per l’economia e le democrazie europee rappresentò, infatti, per Telò il battesimo del fuoco della nuova identità socialdemocratica postbellica: quella, cioè, di un riformismo capace di confrontarsi con il tema del governo del ciclo economico, fuori da qualsiasi subalternità – a differenza del riformismo pre-1929 – nei confronti della teoria liberale e del marginalismo economico. Questa innovativa ricerca sulle traiettorie di trasformazione delle socialdemocrazie permetterà tra l’altro a Telò, autentico poliglotta, di intessere rapporti con i principali esponenti politici e intellettuali del socialismo europeo: da leader come Brandt e Palme fino a studiosi come Meidner, Myrdal e Scharpf.

È proprio riflettendo sul tema del riformismo socialista e delle sue precondizioni, che, a seguito del «tornante del rigore» intrapreso da Mitterrand nel 1983, si convinse della necessità di fornire a qualsiasi prospettiva di governo politico dell’economia una dimensione europea.

STA QUI L’ORIGINE del suo altro grande filone di ricerca, quello che lo accompagnerà fino alla fine della sua vita e a cui dedicherà svariate pubblicazioni: l’Europa (da lui definita «potenza civile») e la sua unione politica. Gli anni Ottanta, nei quali precedette i suoi compagni del Pdup nel riavvicinamento al Pci, lo videro collaborare col Crs di Pietro Ingrao, dirigendo la sezione «Politica e istituzioni in Europa».

Nel 1987, approdò a Bruxelles, insegnando presso la sua Université Libre e presiedendo dal 2005 al 2009 l’Institut d’Études Européennes. È in questa veste che formerà decine di studiosi e ricercatori in Scienza politica: tra i più famosi internazionalmente per i loro studi sui temi europei e sui partiti politici, Pascal Delwit, Jean-Michel De Waele e Paul Magnette, attuale presidente del Partito socialista belga.