Dopo l’approvazione della manovra in via definitiva al Senato, ieri è stata firmata dal presidente della Repubblica Mattarella, è giunto il momento di misurare le iniquità fiscali e salariali che produrrà. Lo ha fatto un’analisi pubblicata ieri dalla Cgil che ha confrontato l’impatto sul lavoro dipendente e su quello autonomo, una delle discriminazioni più evidenti della legge che la presidente del Consiglio Meloni ha cercato di negare nella conferenza stampa di fine anno.

Secondo il sindacato di Corso d’Italia il taglio del cuneo fiscale che la legge di bilancio conferma al 2% per i redditi fino a 35 mila euro lordi l’anno e che lo aumenta di un ulteriore punto percentuale fino a 25 mila euro lordi l’anno produrrà “vantaggi in busta paga molto scarsi e certamente insufficienti a contrastare il carovita. Per le retribuzioni annue lorde pari a 10 mila euro il beneficio mensile netto nel 2023 sarà di 23,08 euro, quindi 7,69 euro in più rispetto al 2022. Per le retribuzioni annue lorde pari a 25 mila euro il beneficio netto mensile nel 2023 sarà di 41,74 euro, quindi pari a 13,91 euro in più rispetto al 2022. Si tratta di aumenti simbolici che dureranno un solo anno senza contare che saranno inutili per recuperare la maxi-inflazione. E in più sarà del tutto inutile perché non è accompagnata da una strutturale indicizzazione delle detrazioni per lavoro dipendente e pensione.

La combinazione tra l’esiguità delle risorse già nota dal governo Draghi, e la volontà politica di non investire davvero sui salari, hanno creato una presa in giro per dire di avere fatto qualcosa.

Secondo la Cgil l’estensione della Flat tax al 15% fino a 85 mila euro di ricavi dà «vantaggi incomparabilmente più elevati e, in generale, la norma rafforza una diseguaglianza fiscale tra lavoro autonomo e lavoro dipendente già fortemente acuita quando dal tetto di 30 mila euro si passò a 65 mila euro. Fino al 2022 un autonomo con 85 mila euro di ricavi pagava la stessa Irpef di un omologo dipendente, ovvero circa 18.800 euro più le addizionali regionali e comunali. Dal 2023 tale autonomo pagherà un’Irpef pari a 7.361 euro, ovvero oltre 11.400 euro in meno, rispetto all’anno precedente.

L’associazione dei freelance Acta ha evidenziato un altro aspetto di questa micidiale ingiustizia (ne abbiamo già parlato il 25 novembre su Il Manifesto): l’aumento della soglia flat tax permetterà solo a circa 100 mila su 3,7 milioni di contribuenti con partita Iva un notevole vantaggio fiscale (7-8 mila euro circa) e non eviterà l’effetto blocco della crescita arrivato a 65 mila euro. In quel caso non c’era un aumento il fatturato per evitare il «rischio» di restare con un reddito netto più basso. Il governo Meloni non ha risolto il problema, ha solo sposta più in alto tale limite. E favorisce fiscalmente chi opera al di fuori del regime forfettario e, nel 2023, avrà un imponibile più alto rispetto ai 3 anni precedenti.

Per Acta è una «scelta inaccettabile». Anche perché le destre non hanno nemmeno pensato di intervenuti a sostegno dei redditi più deboli tra gli autonomi come hanno fatto per i dipendenti, con i risultati modestissimi di cui abbiamo già detto. Non solo, si crea anche un’altra disparità tra autonomi e dipendenti a basso reddito. I primi, anche con la Flat tax, pagano molte più imposte di un dipendente con pari reddito. Con imponibile di 20 mila euro oggi paga 740 euro più di un dipendente, A 12 mila un autonomo paga 1.800 euro in più di Irpef.

L’analisi di Acta è interessante perché spiega sia l’ideologia classista del governo, sia la rimozione interessata del lavoro autonomo nel terziario, pubblico e privato. Non evade, né fa giochini fiscali per guadagnare di più, tartassata da un mix diabolico di compensi bassi, lavoro discontinuo, Welfare debole e prelievo fiscale ignorata dalla politica.

Meloni, nella conferenza stampa di fine anno, ha detto che la Flat tax a 85 mila euro «è falso che gli autonomi pagano meno dei dipendenti» perché non hanno il Tfr, non detraggono nulla, e si pagano i contributi. Alla luce di queste analisi non è vero. Invece di riformare un sistema fiscale ingiusto, e creare un nuovo Welfare, allarga la frattura esistente tra le partite Iva povere e benestanti.