La manovra del popolo affonda nel ridicolo. Il maxiemendamento latita. La commissione Bilancio, preso atto della propria superfluità, smobilita. Le telecamere pronte alla diretta tornano a casa. La conferenza dei capigruppo resta per ore in ostaggio del governo che promette l’arrivo dell’emendamentone, cioè della vera manovra, per le 8 di stamattina, meglio le 10, va be’ proviamo mezzogiorno. Il Pd, Forza Italia e FdI insistono per domenica mattina, ma alla fine si decide per oggi alle 14, con dichiarazioni di voto a partire dalle 20.30. Sempre che l’emendamento arrivi davvero. Chissà. Fosse che fosse la volta buona.

CONTE SI DICHIARA «dispiaciuto» per il parlamento ma «confida» nell’approvazione oggi. Però non si vergogna, aggiunge. In effetti la faccia di bronzo non gli manca. A chi gli chiede se è possibile un nuovo slittamento, oggi, replica ineffabile: «Non lo so. Mica controllo il Senato…». Come se a bloccare tutto fosse il parlamento e non l’incapacità del governo che lo stesso Conte presiede. Come se non fosse il governo che a scrivere la manovra proprio non ce la fa. Ma da questo punto di vista Conte è davvero un campione, quasi quasi pronto persino a tenere oggi, proprio al senato, la sua conferenza stampa di fine anno, per rivendicare una legge di bilancio ancora ignota a tutti. «Se osa farlo ci troverà qui a aspettarlo: non si azzardi», minaccia il capogruppo del Pd Marcucci. Il premier coglie il segnale e rinvia la conferenza stampa a manovra approvata.

MA QUAL È IL PROBLEMA? Cosa impedisce al maxiemendamento di vedere la luce? Impossibile dirlo. La legge che sarà votata a scatola chiusa viene scritta altrettanto al buio e non è un caso che i trasparentissimi a cinque stelle, di fronte alla richiesta di streaming in commissione Bilancio, abbiano respinto. Con trasparente fermezza . Bisogna quindi affidarsi alle indiscrezioni, che però sono unanimi, che trapelano da una maggioranza blindata e dai ministeri. Il problema riguarda le norme di competenza dell’M5S. Quelle targate Lega ci sono. Quelle dei pentastellati, invece, vengono puntualmente respinte dagli istituti di controllo, a partire dalla ragioneria generale dello Stato a cui spetta la bollinatura: sarebbe stata negata a più riprese. Il problema è tanto serio da evocare lo spettro dell’esercizio provvisorio.

IN AULA, QUANDO la presidente Elisabetta Casellati annuncia l’ennesima modifica del calendario le opposizioni esplodono, voltano la schiena alla presidenza. Casellati, imbarazzata, richiama il governo a maggior rispetto per il Senato. «E’ uno sfregio non al Parlamento ma all’Italia. La Caporetto del governo», affonda la lama la presidente sei senatori azzurri Anna Maria Bernini. Il Pd annuncia l’occupazione dell’aula. «L’umiliazione del parlamento non ha più limite. Siamo ostaggi», urla la capogruppo di LeU Loredana De Petris e chiede che la commissione Bilancio possa esaminare il testo anche a costo di andare avanti a oltranza. I 5S la buttano sul comiziante: «La manovra non è una Caporetto ma sarà una grande vittoria politica del governo del cambiamento che non ha problemi politici».

La maggioranza resta impassibile. Si trincera dietro le «motivazioni tecniche». Si prepara a rivendersi la disfatta di Bruxelles come una smagliante vittoria. Solo che farlo sui social è facile, riuscirci mettendo le cifre nero su bianco è un altro paio di maniche. Bisogna nascondere due realtà amare. La prima è che i fondi per le grandi riforme promesse, ma anche per tutte le altre misure «minori» non bastano. Con questi fondi, illustra Bernini, il reddito non va oltre gli 83 euro a persona. Ma il punto dolente è un altro, è che pur di ottenere un finto semaforo verde dall’Europa, il governo sovranista ha accettato un commissariamento di fatto per tre anni. Un disastro.

LE CIFRE PARLANO DA SOLE. Per quanto riguarda la clausola di salvaguardia Bruxelles chiede che sia scritto a chiare lettere un aumento dell’Iva per 23 miliardi di euro nel 2020, di 28,75 nel 2021 e di 28,53 nel 2022. Nel complesso una correzione di circa 35 miliardi rispetto alle previsioni precedenti. Il tutto scritto a chiare lettere e senza poter ricorrere al deficit o alla flessibilità. Già quest’anno la principale spesa della manovra del popolo è stata proprio la sterilizzazione dell’Iva. «L’anno prossimo sarà molto più pesante ma non potevamo fare altro», ammette il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Più precisamente saranno lacrime e sangue e con 3,83 miliardi di tagli sugli investimenti rischiano di piovere sul bagnato della recessione.