«Neutralità attiva» il perno su cui ruota il memorandum pubblicato ieri dal Patriarca maronita al-Rai articolato in tre punti. Astensione da guerre regionali e internazionali; difesa dei diritti umani nel mondo Arabo, specie dei palestinesi, e ruolo di mediazione del Libano; rafforzamento dello Stato e delle sue istituzioni. «Il Libano è diventato il luogo delle guerre degli altri, mentre dovrebbe essere il ponte tra il mondo arabo e quello occidentale».

L’influente Partiarca lancia un appello perché ci siano al più presto elezioni, ma «senza la distrazione di una discussione sulla legge elettorale», che in Libano è settaria, basata su un censimento comunitario-religioso del ’32 che privilegia enormemente i cristiani, e che è stata ed è -e probabilmente sarà per molto- causa di forti lotte interne.

Le manifestazioni cominciate a ottobre erano chiare sulla riforma della legge elettorale e l’abolizione del settarianesimo. A due settimane esatte dallo scoppio al porto di Beirut causa di circa 200 morti, 7mila feriti e danni inestimabili -ieri il giudice Sawan ha spiccato un mandato di arresto per il direttore delle dogane Daher- comincia come da copione la girandola di accuse, rivendicazioni, prese di posizione dei politici libanesi.

Amal, Hezballah e il Movimento Patriottico Libero (MPL), alleati di governo, vogliono un governo di unità. Joumblat (Partito Socialista Progressivo) un governo neutrale e, come Geagea (Forze Libanesi), nuove elezioni.

Bassil capo del Mpl -il partito di Aoun- si è detto domenica pronto a sciogliere l’alleanza con Hezballah se questi ultimi non «si prenderanno la responsabilità delle riforme da fare». Ha aggiunto che nessuno del partito si dimetterà per senso di responsabilità chiosando che la «vera rivoluzione» libanese sono loro. Dichiarazione azzardata tenendo in conto che Bassil, assurto a simbolo di corruzione e inefficienza e genero di Aoun, è l’esponente politico più insultato dai manifestanti in quest’anno di proteste. La visita del sottosegretario americano per gli affari esteri, già ambasciatore in Libano, di venerdì non ha riservato sorprese.

Hale si è impegnato ad aiutare il Libano nel breve e lungo periodo, a condizione che vengano attuate riforme sostenute dal popolo che contrastino la corruzione. In linea con quelle dell’Eliseo, le sue dichiarazioni restano altrettanto vaghe. È attesa per oggi la sentenza (rinviata per l’esplosione) del Tribunale Speciale per il Libano del processo ai 4 affiliati di Hezballah accusati dell’attentato che il 14 febbraio 2005 uccise Rafiq Hariri e altre 21 persone a Beirut. Il figlio Baha’, fratello dell’ex-premier Saad, ha invitato i sostenitori a rimanere calmi e a non cedere alla rabbia. In un senso o nell’altro, la storica sentenza alimenterà il crescente sentimento dei libanesi contro Hezballah e i suoi alleati.

Intanto ieri l’annuncio del ministro della sanità di un nuovo lockdown di due settimane. Sanità che già in ginocchio subisce l’ennesimo colpo con l’esplosione che ha reso inagibili 3 ospedali e ne danneggiati altri. Ora non ci sono più posti nei reparti anti-covid. Domenica i casi sono stati 439, ieri 456 e due morti, in un paese di appena 10mila km². È stato inoltre prolungato di un mese per decreto e senza passare dal parlamento lo stato di emergenza -che estende i poteri dell’esercito creando un vero e proprio stato di polizia- dal premier dimissionario Diab e approvato da Aoun. La decisione solleva questioni di legittimità e di diritti civili. Dopo un anno di proteste e crisi e un’esplosione devastante sembra che il peggio debba ancora venire.