«Con i prezzi dei fertilizzanti alle stelle, gli agricoltori ne compreranno meno e quindi produrranno meno. Pensare di aumentare la produzione agricola in questa situazione mi sembra illusorio, almeno nel breve termine. Non basta buttare una manciata in più di grano per produrre di più. Se invece ci mettiamo nell’ottica di ridurre la nostra dipendenza da fattori di produzione che importiamo dall’estero, nel medio e lungo termine si possono mettere in atto diverse azioni. Ci vorranno politiche che siano adatte regione per regione, ambiente per ambiente, supportate da molta ricerca. L’Italia ne ha particolarmente bisogno». Per Giuseppe Corti, professore di pedologia e direttore del Centro agricoltura e ambiente del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura, organo del ministero delle Politiche agricole), non esistono soluzioni facili di fronte all’impennata dei prezzi di alcuni fertilizzanti di sintesi, triplicati negli ultimi mesi.

Professor Corti, esistono in Italia scorte di fertilizzanti?

No, non ne abbiamo, perché siamo totalmente dipendenti dalle forniture estere. Quelli che potrebbero scarseggiare a causa della guerra in Ucraina sono i composti azotati, il nitrato di ammonio e l’urea, essenziali per coltivare i cereali, prodotti per gran parte in Russia. Però vorrei far notare che il rialzo dei prezzi è cominciato dal 2020, quando la Russia ha iniziato a ridurre le esportazioni.

Perché la Russia ha ridotto le esportazioni di fertilizzanti?

Direi che è una scelta politica, ritengo per favorire la produzione interna di cereali. Non certo per penuria di materiali. I fertilizzanti azotati vengono prodotti a partire dall’azoto che c’è nell’aria che viene trasformato in ammoniaca con grandi quantità di energia, in particolare di gas, e anche questo non manca in Russia.

Esistono metodi per ottimizzare o diminuire l’uso dei fertilizzanti di sintesi nell’agricoltura convenzionale? Le aziende biologiche non li utilizzano affatto…

Ci sono diversi metodi, quelli che gli agricoltori di una volta mettevano in atto. Per esempio le consociazioni dei cereali con le leguminose, come piselli o ceci: come fanno nelle aziende biologiche. Si semina tutto insieme e si raccoglie tutto insieme e si ottiene ottimo mangime per gli animali, un altro prodotto che potrebbe scarseggiare a causa della guerra. Le leguminose fissano l’azoto nel terreno e consentono di ridurre di metà l’apporto dei concimi azotati. Se invece volessimo raccoglierli separatamente, non abbiamo la tecnologia per separarli in campo, perché non si è fatta ricerca applicata. Ancora meglio si può fare con l’orzo: in questo caso la consociazione consente di ridurre dal 50 all’80% anche pesticidi e diserbanti. Oppure si può usare una tecnica chiamata bulatura che consiste nel seminare il trifoglio quando il grano è già cresciuto, per produrre cereali e buon fieno per gli animali. Oggi lo stiamo sperimentando in due aziende in Puglia e in Toscana: c’è più lavoro, ma in certe aree si potrebbe praticare con buoni risultati.

Perché questi metodi non sono per niente diffusi?

Perché non si è investito abbastanza in ricerca. Ritengo sia una colpa grave: avremmo meno dipendenza, più produzione per ettaro e minore impatto ambientale perché l’azoto in eccesso che non viene assorbito dalle piante si disperde nell’ambiente.

Si abusa di fertilizzanti chimici in Italia?

Oggi molto meno. L’abuso ha riguardato gli anni ‘80 e ‘90 senza ombra di dubbio e ha provocato molti danni, dall’inquinamento delle acque interne alla riduzione della biodiversità nei campi, alla rarefazione di alcune specie di insetti e piccoli mammiferi che oggi stanno ritornando. In pianura si vedono sempre più gli aironi bianchi: se sono lì è perché mangiano rospi e ranocchi, che si cibano di insetti. Se ci sono vuol dire che siamo meno impattanti. Lo potremmo essere ancora meno? Di sicuro.

Conoscere meglio il contenuto di azoto del terreno aiuterebbe a ridurre le dosi dei concimi?

Sì, se si prendesse in considerazione la natura del suolo si potrebbero fare ulteriori passi in avanti. Anche nello stesso campo possiamo trovare aree che hanno più o meno bisogno di azoto. L’agricoltura di precisione può essere d’ausilio, a beneficio della cosiddetta pedofauna, cioè degli animaletti che vivono nel suolo. Sono loro gli artefici della fertilità.

Per sostituire i fertilizzanti di sintesi, l’Ue ha concesso deroghe per l’uso di fertilizzanti organici da fanghi di depurazione, stallatico trasformato e concimi animali. Quali problemi possono comportare?

I problemi riguardano la presenza di metalli pesanti e antibiotici, che derivano da deiezioni animali o umane, infatti vanno esaminati attentamente prima di essere utilizzati perché possono dare anche grossi problemi. Il vantaggio è che apportano sostanza organica. I suoli di tutto il mondo ne sono carenti, perché ce la siamo bruciata a seguito di lavorazioni e concimazioni azotate di sintesi eccessive dall’immediato dopoguerra per 50/60 anni. Ora c’è maggiore attenzione e consapevolezza, ma ci vorrà altrettanto tempo per ottenere qualche risultato. Per aumentare la sostanza organica non è sufficiente aggiungere letame o fare sovesci, in certi casi addirittura si riduce. Lo ripeto: ci vuole più ricerca. Ma non esiste una ricetta valida per tutto.