Nelle ultime ore purtroppo ci sono stati anche i morti. Due persone sono morte in un’auto colpita dal crollo di un albero in Valle d’Aosta, un uomo è caduto dal tetto che stava riparando in Val Badia. Nei giorni precedenti una donna era stata uccisa da una frana in Val di Sole, in Trentino, e un automobilista, in Alto Adige, si era schiantato contro degli alberi caduti.

Intanto, con 48 e più ore di ritardo, anche i media nazionali si sono accorti della tragedia sulle Alpi. Nei telegiornali e sui quotidiani, accanto agli alberi caduti di Roma e agli yacht sfasciati dalla mareggiata a Rapallo, sono comparse le valli di Fiemme, di Fassa e di Sole in Trentino, la Val Pusteria in Alto Adige, il Bellunese colpito nei luoghi famosi (Cortina e le sue frazioni) e nelle valli meno note.

Ha iniziato a uscire dall’isolamento mediatico la Carnia, aspra terra di montagna friulana, dove gli elenchi della Protezione civile regionale parlano di una trentina di strade interrotte. «Viaggio nella Carnia martoriata dove manca la corrente, le lacrime dei sindaci» ha titolato ieri Il Messaggero Veneto, il quotidiano di Udine che usa di solito toni misurati.

Scrivendo un elenco dei luoghi, in realtà, si rischia di far torto a qualcuno. E forse, a parte le notizie dei morti, di nomi sarebbe meglio non farne. La realtà è che negli ultimi giorni, tutte le Alpi italiane hanno conosciuto una catastrofe ambientale con pochi precedenti nella storia.
Foreste – foreste, non qualche albero isolato – abbattute da venti con forza di uragano, strade e ponti crollati, frazioni sfollate, grandi frane hanno colpito il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Lombardia, il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli. In quest’ultima regione sono stati registrati venti da record, 200 chilometri orari sul Monte Rest e 173 sul Col Gallina.

Tra le vittime del maltempo sono celebri luoghi di natura come la Valle di San Lucano, nell’Agordino, devastata dalle frane, e la gola di Sottoguda ai piedi della Marmolada, percorsa da un’ondata di piena rovinosa.
In Alto Adige sono stati spazzati via come fuscelli gli abeti intorno al Lago di Carezza, un’icona delle Dolomiti. In Trentino, la stessa sorte è toccata ai boschi della Val di Fiemme e di Paneveggio, con il cui legname si producono da secoli i violini.

Confrontando la violenza degli eventi con l’elenco tutto sommato breve delle vittime, occorre inchinarsi all’efficienza dei sistemi di allerta e di Protezione civile locali.

A San Candido, quando la Drava è uscita dagli argini, gli sms del Comune hanno fatto salire gli abitanti ai piani alti. Vigili del Fuoco e volontari sono intervenuti ovunque con rapidità straordinaria. In altre parti d’Italia, piogge e venti così forti avrebbero causato una quantità di morti e feriti maggiore.

Merita una riflessione, però, il fatto che per i primi due o tre giorni, telegiornali e quotidiani nazionali abbiano ignorato la tragedia sulle Alpi, e si siano concentrate sulle coste, sull’acqua alta a Venezia e sugli alberi caduti a Roma.

L’ho scritto più volte pensando a realtà ben diverse, come l’Abruzzo e le regioni vicine. All’Italia “ufficiale”, della politica e dei media, la montagna interessa solo come cartolina o come meta di vacanze, con il verde dell’estate o con il bianco dell’inverno.

Viviamo in un Paese che è fatto per tre quarti di montagne, dal Monte Bianco fino all’Etna, ma che concepisce sé stesso come un luogo di città, di dolci colline e di spiagge. Un Paese dove l’escursionismo, l’alpinismo e gli sport invernali fuori dalle piste battute vengono praticati da mezzo milione di persone, ma interessano a chi ci governa solo se qualcuno si fa male.

Le Regioni e le Province alpine, chiunque amministri il potere, sono governate meglio del resto del Paese, e questo aiuta la colpevole miopia dei media. Ma la montagna, come il mare, non è solo un luogo di svago. La montagna è la nostra vita, la montagna siamo noi.

Tra qualche giorno, in televisione e sui giornali, la pubblicità delle vacanze invernali ci farà rivedere le Alpi spettacolari e imbiancate, pronte ad accogliere il riposo e la voglia di sport di chi vive nelle città affollate e inquinate. La montagna serena è bellissima, e merita certamente una visita. Quando la montagna soffre, però, girarsi dall’altra parte è un’infamia.