Un mese e mezzo dopo la nuova prova di fiducia offerta dal popolo venezuelano nei confronti del governo di Nicolás Maduro, riconfermato il 20 maggio scorso alla presidenza del Paese, si cercano urgentemente risposte a una crisi economica che sembra non avere fine.

Così, lo scorso 25 giugno, il governo ha convocato tutti i settori legati alla produzione, alla commercializzazione e alla distribuzione delle merci allo scopo di regolarizzare i prezzi di almeno 50 prodotti alimentari e di igiene personale (tra cui caffè, zucchero, riso, mais, pasta, fagioli, latte, farina, pollo, pesce, olio).

«Con le buone o con le cattive» si arriverà a un accordo, ha avvertito il presidente, minacciando l’adozione di severe misure contro i settori che violeranno l’accordo. Non senza denunciare come, all’indomani dell’aumento del 103% del salario minimo disposto dal governo, i prezzi dei prodotti abbiano registrato un’ulteriore impennata.

E ad accompagnare i negoziati sono intervenuti, nello stesso periodo, controlli a tappeto in 29 mercati municipali (a cui ne seguiranno presto altri) per impedire casi di speculazione e accaparramento di prodotti e combattere «le mafie che controllano gli alimenti».

Non c’è però alcuna garanzia che tali sforzi producano i risultati sperati, come, in effetti, non li hanno prodotti fino ad oggi. Né si può dire che questi negoziati con il settore imprenditoriale siano tanto ben visti dalla popolazione, la quale, più che stringere accordi, vorrebbe vedere gli speculatori puniti come si deve.

E neppure risultano così efficaci i controlli nei mercati da parte della Guardia Nazionale, considerando che i commercianti – i quali peraltro scaricano la colpa sui distributori – aspettano che i militari siano passati per vendere clandestinamente i loro prodotti.

Molto più utili, in realtà, risulterebbero le misure dirette ad ampliare la struttura produttiva del Paese, promuovendo la sovranità alimentare attraverso il controllo locale delle catene di produzione, trasformazione e distribuzione da parte del popolo organizzato e costruendo un nuovo e trasparente sistema di cambio valutario.

Ed è proprio in questa direzione che, sul solco già tracciato da Chávez e senza negare il proprio appoggio al governo, si sta muovendo il movimento contadino di Barinas, giunto a occupare pacificamente l’Instituto Nacional de Tierras per denunciare abusi e violenze «tanto della vecchia élite latifondista quanto di quella nuova sorta con la rivoluzione», sollecitando finanziamenti diretti e altre forme di sostegno alla produzione contadina e la definizione di «un piano nazionale di democratizzazione della terra a breve, medio e lungo termine».

Del resto, se, come hanno rivendicato le organizzazioni in lotta per la terra, la principale fonte di sostentamento della popolazione è costituita proprio dai prodotti di origine contadina, l’incremento speculativo del loro prezzo si deve unicamente alla «dittatura delle mafie del trasporto e della distribuzione che non sono state effettivamente combattute dalle autorità competenti».