Il presidente francese Emmanuel Macron ha assicurato martedì scorso a Nouakchott, in Mauritania, che la Francia e i suoi alleati della forza G5 Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad) hanno «invertito con successo l’equilibrio di potere contro i gruppi jihadisti negli ultimi sei mesi in un’area cruciale tra Mali, Burkina e Niger». Un incontro considerato dall’Eliseo «fondamentale» per fare il punto sulla lotta anti-jihadista in questa regione, dove sono presenti oltre 5mila soldati francesi della missione Barkhane, in un contesto di generale deterioramento della sicurezza: il conflitto, inizialmente circoscritto al Mali, si è diffuso in tutto il Sahel.

«Abbiamo richiesto a livello europeo una cancellazione del debito per questi paesi che sono in prima linea contro il jihadismo – ha continuato Macron in conferenza stampa – ci sarà un più consistente coinvolgimento europeo attraverso la forza Takouba, ma l’importante è che ritorni anche una buona governance in tutte le aree dei paesi coinvolti».

DOPO IL SUMMIT c’è stata una video-conferenza con «diversi capi di stato e di governo dei paesi europei della forza Takouba» tra cui il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier italiano Giuseppe Conte.

 

Conte e Merkel, tra gli altri, in videoconferenza con Nouakchott (Ap)

 

Proprio in questi giorni il nostro parlamento sta discutendo i termini legati alla partecipazione di militari italiani – prevista il mese prossimo – nell’area (Mali, Niger e Burkina Faso) con l’obiettivo di contrastare la minaccia terroristica nel Sahel. Saranno coinvolti circa 200 militari che forniranno attività di «consulenza, assistenza e addestramento a supporto delle forze armate locali».

Nonostante l’ottimismo mostrato al vertice e l’uccisione da parte dei francesi del leader di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), Abdelmalek Droukdal, la situazione sul campo resta «difficile sul piano della sicurezza, con una recrudescenza degli scontri locali tra le diverse etnie affiliate ai due network jihadisti, al-Qaeda e Stato Islamico». Proprio ieri – «come risposta al vertice in Mauritania e al prolungamento della missione Minusma», secondo i quotidiani maliani – un gruppo di uomini armati dello Jnim, ramo jihadista affiliato ad al-Qaeda, ha attaccato alcuni villaggi abitati da membri dell’etnia Dogon uccidendo almeno 32 civili nella regione centrale di Mopti.

L’UNICO ELEMENTO di recente discontinuità in questo periodo riguarda il conflitto interno tra i gruppi affiliati allo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs) e quelli vicini ad al-Qaeda (Jnim) che hanno cominciato a combattersi ponendo fine all’eccezione saheliana della non aggressione, e che colpiscono, nella lotta per la supremazia, i civili delle diverse etnie coinvolte nella regione.

Un ulteriore aspetto di deterioramento sono gli abusi nei confronti della popolazione e dei profughi da parte dei militari africani. Nel suo report di giugno, Amnesty International ha dichiarato che «più di 200 civili sono stati vittime di omicidi illegali, arresti arbitrari e sparizioni tra febbraio e aprile».

«L’impennata di questi atti mostra lo sgomento e la frustrazione per la sconfitta delle forze di sicurezza di fronte agli attacchi che li colpiscono – afferma la responsabile di Amnesty per l’Africa occidentale, Samira Daoud – con un quadro preoccupante anche per l’espansione degli attentati jihadisti verso nuovi paesi, come è avvenuto recentemente in Costa d’Avorio».