Emmanuel tende la mano a lavoratori e pensionati, per cercare di spegnere l’incendio dei gilet gialli. Il salario minimo aumenta di 100 euro al mese, gli straordinari saranno detassati da subito, ci sarà un “premio” di fine anno (per le imprese che possono permetterselo), i pensionati sotto i 2mila euro al mese non pagheranno più la Csg (Contributo sociale generalizzato).
Macron cerca di riportare la calma, ammette di aver fatto errori, capisce «la collera, l’indignazione» che viene da una «crisi profonda» che dura da decenni, ritiene la protesta «giusta sotto molto aspetti» e la considera addirittura «la nostra chance» per cambiare la società in vista della costruzione del futuro. Si impegna ad appoggiarsi sui sindaci, per riannodare i legami con i territori, per far fornte «allo stato d’emergenza economico e sociale».

IL DISCORSO tanto atteso, praticamente a reti unificate, dopo un mese di esplosione di rabbia, è cominciato con la condanna drastica della violenza: «Le rivendicazioni non giustificano la violenza», non ci sarà «nessuna indulgenza». Il disordine deve finire. Macron punta il dito contro gli «irresponsabili politici» che hanno cercato si sfruttare il caos a loro vantaggio (un po’ tutti). Non cede sull’Isf (patrimoniale) sui capitali, ma promette già «questa settimana» discussioni per «mettere fine ai vantaggi indebiti dell’evasione fiscale». Ma i gilet gialli, almeno i più impegnati, non sembrano convinti. La scommessa di Macron è di vincere sull’opinione pubblica e togliere consensi alla protesta dei gilet.

LA FRANCE INSOUMISE, il Pcf e il Ps hanno previsto di presentare una mozione di censura (la sfiducia) contro il governo (il Ps ha voluto ritardare la decisione a dopo il discorso di Macron). Nei comuni, molti sindaci hanno messo a disposizione dei cittadini dei cahiers de doléances, una pratica nata nel XIV secolo e diventata simbolo della pre-rivoluzione, perché comunichino le richieste di cambiamento che si aspettano. Macron ha consultato le forze sociali, sindacati e padronato, oltre a politici di ogni tipo (presidenti di Assemblea e Senato, rappresentanti delle Regioni, una quindicina di ministri…) tutta la mattinata. Già una prima svolta, rispetto a un atteggiamento centralizzato, che è stato vissuto come uno spregio ai «corpi intermediari». Ma il presidente non ha lasciato trapelare nulla sull’intervento delle ore 20.

Il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, in mattinata ha messo in guardia il paese, ha parlato di «catastrofe» economica, con un dimezzamento della crescita prevista per il quarto trimestre, la Banque de France conferma. La piccola e media impresa parla di perdite per 10 miliardi di euro durante i primi quattro «atti» della protesta, che dura nelle piazze dal 17 novembre, ma che serpeggia sulle reti sociali dall’inizio di ottobre. Oggi, i sindacati dei liceali hanno lanciato un «martedì nero» di azioni di protesta, dopo che ieri l’agitazione è rimasta limitata a 120-150 licei, con una cinquantina completamente bloccati. Quattro università sono in agitazione, Tolbiac e Censier a Parigi, Nanterre e Rennes 2.

LA POLEMICA sulla repressione delle manifestazioni di domenica non si placa. L’avvocato Henri Leclerc, che è stato presidente della Ligue des droits de l’homme, ha denunciato gli «arresti preventivi», giustificati in nome dell’articolo 22-14-2 del Codice penale, «un testo di legge incerto» che permette abusi (la ministra della Giustizia smetisce).
Mai dal ’68 c’erano stati tanti arresti: più di 2mila, con 1.700 fermi di polizia. François Ruffin, della France Insouise, afferma di essere sotto sorveglianza, per sedizione (ma la giustizia smentisce). I gilet gialli denunciano la repressione preventiva. Il sindacato dei giornalisti denuncia una «gestione catastrofica» dell’ordine pubblico. I sindaci, soprattutto nelle principali città di provincia a cominciare da Bordeaux, chiedono i conti al ministro degli Interni, che ha concentrato il grosso delle truppe a Parigi lasciando scoperte altre zone. A Parigi è stata evitata la concentrazione degli scontri in una zona, ma molti quartieri sono stati protagonisti di scene di violenza. Secondo il comune, i danni sarebbero addirittura maggiori del sabato 1° dicembre, il giorno dell’assalto all’Arc de Triomphe.

I GILET GIALLI non riescono a strutturarsi. Le richieste sociali stanno prendendo importanza: eguaglianza, equità fiscale, aumento del salario minimo, diminuzione delle tasse sui meno abbienti, ritorno della patrimoniale anche sui capitali, istituzione del referendum di iniziativa cittadina, proporzionale. Ma sullo sfondo delle ombre persistono. Ieri è stata l’apoteosi della tesi complottista contro l’accordo di Marrakesh sull’immigrazione, firmato dalla Francia (che era rappresentata solo da un sotto-segretario). Marine Le Pen e il suo alleato Nicolas Dupont-Aignan hanno ingiunto a Macron di rinunciare a questo accordo che a detta loro «organizza l’immigrazione a svantaggio dei lavoratori francesi». I servizi segreti sospettano influenze straniere sulle reti sociali. Il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, ha chiesto a Donald Trump di non intervenire negli affari interni della Francia. I gilet gialli hanno incassato ieri un sostegno bizzarro, quello del principe Louis de Bourbon, duca d’Anjou, pretendente al “trono” francese (è anche nipote di Francisco Franco).