Prima di entrare a Bakhmut c’è un crocevia dove si incontrano la superstrada che viene da Kramatorsk, quella che procede a ovest verso Kostantynovka e l’autostrada verso Lysychansk. Pochi chilometri a sud-est c’è il confine de facto con la Repubblica Popolare del Donbass, uno dei due territori indipendentisti del Donbass dal 2014. Di queste quattro direttrici, oggi solo le prime due sono relativamente sicure e sotto il pieno controllo ucraino. Da sud e da est ci sono i russi che bombardano e tentano sortite e verso Lysychansk non si passa più.

«SHALOM» DICE UN MILITARE alto due metri con una folta barba rossastra al check-point. Viene da Odessa che, oltre ad avere profondi legami con il mondo russo, ha anche forti radici ebraiche. «In città molti si salutano così, anche chi non è ebreo» ci spiega l’interprete. Quando al militare rispondiamo che vogliamo andare verso Lysychansk, lui si alza gli occhiali da sole sulla fronte, assume un tono più serio e dice che è impossibile. «A meno che non vogliate per forza tentare la sorte». Rispondiamo di sì e lui cambia tono, «la strada è bombardata costantemente, i droni russi la sorvolano 24 ore su 24, anche noi (militari) ci spingiamo al massimo per tre o quattro chilometri da qui… poi non c’è più nessuno, non posso lasciarvi andare». Ci spiega anche che alcuni gruppi riescono ancora a raggiungere Lysychansk ma si tratta di missioni vere e proprie, con tanto di copertura aerea. «Ma quindi la strada non la controllate più?» gli chiediamo, «ufficialmente è ancora nostra» risponde laconico, «ma non posso farvi passare, nessuno può passare». È no man’s land dice in inglese, «terra di nessuno».

POCO DOPO RIUSCIAMO a raggiungere al telefono Valery Shibiko, l capo dell’amministrazione militare di Lysychansk che, al contrario del ragazzo, parla in modo molto concitato. Ha poco tempo e dice subito che non ci darà nessuna informazione di carattere militare. Descrive una situazione drammatica: bombardamenti costanti, civili sparsi nei vari rifugi, nelle cantine e chiusi in casa e difficoltà di comunicazioni con l’esterno. «Penso che abbiate sentito di cosa è successo ieri, no? Un missile russo ha colpito delle persone che facevano rifornimento d’acqua da una cisterna e 8 di queste sono morte, altre 30 sono ferite».

Alla domanda se si riesca ancora ad evacuare i civili e i feriti risponde secco «questo lo sapremo solo stasera». Al momento le scorte d’acqua e di cibo non lo preoccupano, «la situazione è molto difficile ma ci siamo organizzati». Ma per quanto ci si possa sforzare di credere che sia tutto sotto controllo, non si sa mai quanto possa durare una battaglia e con i collegamenti interrotti e i cieli sorvegliati dal nemico ogni previsione è aleatoria.

NON SAPPIAMO QUALI siano i piani dello Stato Maggiore ucraino per la sua città. Ad oggi le ipotesi più verosimili sembrano due: resistenza città per città al fine di sfiancare i russi e costringerli a ingaggiare di continuo scontri ravvicinati su tutte le posizioni, oppure ritirata strategica generale e ripiegamento verso Slovjansk, Kramatorsk e Kostantynovka. Shibiko non risponde, dice che i suoi uomini stanno tenendo testa alle truppe nemiche e che al momento la città è per la maggior parte sotto il controllo ucraino. «Sono in molti a volersene andare?» gli chiediamo prima che cada la linea, «non lo so, chi se ne voleva andare se ne è già andato, quando riceverò nuove richieste vedremo come organizzare nuove evacuazioni». La sua voce rimane sospesa e gracchiante prima di interrompersi del tutto. Proviamo a richiamare diverse volte ma non ha più campo. Probabilmente sono ricominciati i bombardamenti e le linee si sono interrotte, oppure si è dovuto spostare nei rifugi anche lui.

SVOLTIAMO VERSO BAKHMUT dove è una mattinata infernale. I diversi suoni dei colpi in arrivo e di quelli in partenza scandiscono ogni chilometro e il suono delle gomme sulle strade segnate dai cingoli dei carrarmati in situazioni come queste contribuisce alla tensione. È un clangore al quale non ci si abitua mai, assomiglia ai motori di un drone e spinge spesso a guardare verso l’alto. Anche qui, come a Slovjansk, si incontrano molti mezzi militari in movimento e, in generale, c’è grande agitazione. Del resto, è proprio in virtù della sua posizione geografica che Bakhmut è diventata uno degli obiettivi fondamentali dei russi nell’area. Lo stato maggiore di Mosca sa che per assicurarsi il controllo della zona e mettersi al sicuro da eventuali controffensive, così come per poter avanzare nell’entroterra della regione, occupare Bakhmut è una priorità.
Ma, probabilmente, il destino della città si potrà comprendere solo dopo la caduta di Lysychansk. Per ora, anche qui, ci si prepara al peggio.