Natale di passione – evangelica e non solo – in Gran Bretagna: finisce stamattina alle sei ora di Greenwich lo sciopero dei lavoratori tranvieri inglesi del sindacato Rmt, in lotta per un aumento salariale in linea con l’inflazione, per migliori condizioni di lavoro e contro i licenziamenti in massa minacciati dalle ferrovie privatizzate. Lo sciopero, l’ultimo in ordine di tempo e di cui si era avuta una cospicua anticipazione in estate, è cominciato alle sei del pomeriggio della vigilia di natale. Pochissimi i servizi ferroviari disponibili per chi si spostava nelle riunioni festive familiari, per chi è andato in vacanza, alla partita o a fare compere nei centri commerciali: il 26 dicembre, Boxing Day com’è chiamato in Gran Bretagna, è tradizionalmente un gioioso giorno di saldi. Ieri si sono moltiplicate le auto in circolazione – stimate a oltre quindici milioni – e impennati i viaggi in pullman.

QUELLO DEI TRASPORTI “pubblici” non è che uno naturalmente dei settori dove si incrociano le braccia. In un periodo brutalmente recessivo e inflattivo gli si aggiungono gli infermieri, i giovani medici, i controllori di passaporti, gli istruttori di guida, tanto per citarne alcuni: tutti a loro volta in intermittente agitazione in quello che sembra ormai uno sciopero generale in tutto tranne che in forma ufficiale. Ma sono i ferrotranvieri del Rmt – un sindacato socialista come al Labour Party non riesce più di essere da decenni, tanto da non essergli nemmeno affiliato – a guidare ufficiosamente le lotte a livello mediatico, grazie soprattutto al loro leader Mick Lynch, una figura capace di sopravvivere l’irritante demonizzazione di cui è fatto sistematicamente oggetto dei soliti giornali e televisioni di destra (Telegraph, Sun, Mail, Express, Sky News ecc.) posseduti da miliardari che avranno preso la metro tre volte in vita loro.

Quella di Lynch – autentico working class hero del terzo millennio – non è prodezza retorica: il talento sta nel suo parlare pacato e, se necessario brutalmente franco, respingendo con tetragona logica i queruli attacchi dei numerosi mezzibusti tele-comandati – Bbc compresa, sempre timorosa di apparire troppo di sinistracentro agli occhi della destra Tory – che lo accusano di «tenere i cittadini in ostaggio» o di essere una specie di orco alla guida di una masnada di energumeni mossi dall’odio di classe. In realtà lo temono per un’altra ragione: dopo la distruzione bipartisan di un leader di estrazione borghese come Corbyn e davanti alla dabbenaggine politica di Keir Starmer, un ex-operaio che piace anche ai social media non sanno proprio come prenderlo. Rischiano, in poche parole, di trovarsi davanti al prossimo leader di una sinistra improvvisamente degna di questo nome.

IL SUCCESSO DEGLI SCIOPERI – votati dalla stragrande maggioranza dei lavoratori e grossomodo accettati come giusti dall’opinione pubblica nonostante le sobillazioni dei media – è dovuto soprattutto alle condizioni insostenibili in cui versano troppe categorie di lavoratori, in un paese dove la forbice ricchi e poveri ha raggiunto dimensioni oscene, dove i dividendi si moltiplicano in alto mentre in basso giganteggiano debiti e sacrifici e dove il terzo primo ministro eletto in tre mesi da cricche di partito sta impedendo volutamente ai leader delle aziende di sedersi a un tavolo con la Rmt nella speranza che i disagi si ritorcano contro Lynch e i suoi, facendone dei paria.

Il piano del governo è chiaro: «gestire il declino» irreversibile del trasporto ferroviario per privatizzarlo del tutto, superando l’assetto attuale misto dove il governo rappresenta i privati al tavolo delle trattative e li paga per ogni giorno di lavoro perso: di conseguenza gli amministratori di dette compagnie ferrovie private non hanno nulla da perdere dagli scioperi e obbediscono alle istruzioni governative di non alzare l’offerta (la Rmt chiede un aumento in linea con l’inflazione).

Ma per ora questo piano sta fallendo. Se nei contraddittori Lynch ha dilaniato uno dopo l’altro personaggi come Piers Morgan e la giornalista di Sky News Kay Burley, deputati tory in commissioni d’inchiesta e altri malcapitati, è anche grazie alla biografia socioculturale del personaggio. Nato nel 1962 a Paddington (West London) da genitori cattolici irlandesi migrati a Londra sotto le bombe tedesche del Blitz, Lynch ha le fattezze classiche dell’orgoglio operaio inglese: forza, semplicità, buon senso. Di subcultura new wave da ragazzo, lavorava nel settore edile dove ha subito la discriminazione padronale – era stato messo illegalmente in liste nere tra i lavoratori facinorosi e ribelli che non andavano assunti per nessun motivo, una pratica andata avanti per quarant’anni; sarebbe stato in seguito indennizzato – e poi alla Eurostar.

Ricorda da vicino il leader carismatico della Rmt Bob Crow, scomparso nel 2014: non ne ha lo stile fiammeggiante ma non è meno risoluto nelle idee. Dice cose come «mezzi di produzione», «lotta di classe», «redistribuzione della ricchezza». Ha davanti a sé una parete ripida: nella Gran Bretagna postindustriale solo il 23% dei lavoratori dipendenti è iscritto a un sindacato, il paese ha le leggi antisciopero più draconiane d’Europa, leggi che questo governo vuole inasprire ulteriormente, mettendo fuorilegge il diritto di sciopero.

Ma la conquisterà solo mettendo sotto pressione il Labour, in piena controriforma Starmer: gli 80mila iscritti della Rmt non sono affiliati al partito laburista: è troppo a sinistra in un partito unico ad avere avuto la genesi contraria a quelli europei, essendo nato dal sindacato e non viceversa. Solo che ora il corporativismo che da sempre sottende alle lotte sindacali britanniche non tiene più di fronte alle iniquità ormai insostenibili della società britannica. Lynch ha invitato Starmer più volte a schierarsi con lotte dalle quali si è finora dissociato con imbarazzo, qualcosa che non sembra più fantascientifico. Anche perché, come recita un moto della Rmt, «se lotti potresti anche perdere, ma se non lotti perderai di sicuro».