Una questione di soldi. Negli ultimi mesi l’asse tra Unione europea e Tunisia si è basato (quasi) esclusivamente sui finanziamenti a favore del piccolo Stato nordafricano. Al centro del discorso e di tanta preoccupazione da parte di Bruxelles il fenomeno migratorio, con gli ultimi dati dalla sponda sud del Mediterraneo che non hanno lasciato chiavi di lettura alternative: più di 30 mila le persone che sono arrivate a Lampedusa nel 2023, oltre 15 mila quelle intercettate lungo la costa tunisina dalle autorità.

Numeri che riflettono una situazione (quasi) mai vista prima nel paese e che ha portato in un primo momento la Commissaria europea per gli affari interni Ylva Johansson a organizzare una visita ufficiale a Tunisi con i ministri degli interni italiano, tedesco e francese. Si parla di primo momento perché il secondo ha ribaltato le carte in tavola. A causa delle mancate garanzie offerte dal regime del presidente della Repubblica Kais Saied, Matteo Piantedosi e i suoi omologhi di Parigi e Berlino sono rimasti nei loro ministeri. Nella capitale tunisina si è quindi recata ieri solo Johansson e ha incontrato il suo omologo Kamel Feki di recente installazione, il ministro degli affari sociali Malek Ezzahi e quello degli esteri Nabil Ammar.

Sul tavolo dei negoziati nuovi finanziamenti strutturali e il controllo delle frontiere per prevenire l’immigrazione irregolare. Trattative complesse che nascondono spesso clausole proibitive: in questo caso per Bruxelles è essenziale che la Tunisia chiuda i dialoghi con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per un prestito da 1,9 miliardi di dollari. Un credito per cui fanno il tifo diversi partner della sponda nord, in primis l’Unione europea. Basti ricordare la visita di fine marzo del Commissario europeo per gli affari economici e monetari Paolo Gentiloni. Il problema è che Saied, preoccupato dagli ingenti tagli alla spesa pubblica che questo nuovo prestito comporterebbe, ha già detto di non voler accettare diktat: «Se volete vendere la Tunisia all’estero, questo non accadrà. Le nostre scelte devono venire dal popolo, siamo un paese dotato di meccanismi che ne assicurano la prosperità. Non siamo pronti a cedere un solo granello di sabbia, una sola goccia d’acqua o anche una sola brezza d’aria», sono state le parole a inizio aprile del responsabile di Cartagine.

La risposta dell’Ue è arrivata nei fatti nella giornata di ieri attraverso il portavoce della Commissione europea Eric Mamer: senza accordo con il Fondo monetario internazionale non ci saranno discussioni su nuovi aiuti macrofinanziari. Una notizia che mette spalle al muro Tunisi che vive una situazione economica che non lascia spazio ad alternative: tasso di inflazione sopra al 10 per cento con una conseguente drastica caduta del potere d’acquisto da parte della popolazione; un tasso di disoccupazione stabile al 15 per cento e un debito pubblico vicino al 100 per cento del Pil.

Dal canto suo, l’Italia attraverso il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha confermato la sua disponibilità ad attivare nuovi programmi di finanziamenti per un totale di 100 milioni di euro, 50 per le piccole e medie imprese e 50 per la promozione e l’importazione di prodotti italiani. Cifre non sufficienti a soddisfare minimamente il fabbisogno interno tunisino ma che nelle intenzioni di Roma potrebbero fare da capofila per altri programmi.

Se la situazione economica di Tunisi rimane in cima all’agenda delle preoccupazioni europee, lo scenario politico e sociale rimane teso. Dopo l’arresto del leader del movimento di ispirazione islamica Ennahda, Rached Ghannouchi, il suo partito ha rilasciato un nuovo comunicato per chiedere la liberazione del suo presidente «e di tutti gli altri oppositori politici. Questi arresti erano prevedibili e rappresentano un serio abuso di potere e una minaccia per la libertà di espressione». In attesa della sua liberazione, Ennahda ha comunicato che Mondher Lounissi, vice del partito, prenderà in carico gli affari correnti. È la prima volta dopo la Rivoluzione del 2011 che Ghannouchi non si trova alla guida del movimento che ha fondato e che è stato al centro della vita politica del paese nella fase del processo di transizione democratica terminato con il colpo di forza del 25 luglio 2021 di Kais Saied.

Nelle scorse settimane la campagna di arresti da parte delle autorità tunisine ha suscitato diverse condanne, sia in Europa che negli Stati uniti, sulla possibile nuova fase autoritaria che potrebbe intraprendere il paese. Elementi che da un lato non incidono sulla volontà di Saied di proseguire con il suo disegno istituzionale e politico per la Tunisia, dall’altro tuttavia rimangono un fattore di incertezza per la timidezza con cui Bruxelles e Washington stanno affrontando il dossier economico e possibili nuovi finanziamenti.