Luciano D’Amico, l’ormai celebre professore di economia che domenica potrebbe sconfiggere Giorgia Meloni nel feudo d’Abruzzo, arriva a Sulmona attorno alle sette di sera, dopo un’altra lunga giornata in giro per la sua regione. Ad aspettarlo una piazza affollata e calorosa, ma non è una novità: in queste ultime settimane, spiega «il clima è cambiato, l’elettorato progressista dopo la Sardegna ha capito che possiamo farcela anche qui». Prima di salire sul palco si ferma a parlare col manifesto.

Meloni martedì agli imprenditori di Teramo ha detto che se il governatore Marsilio non fosse riconfermato ci sarebbero «effetti devastanti» per l’Abruzzo.
A me pare una gigantesca minaccia. Marsilio insiste molto nel dire che lui è amico della premier, che loro sono una filiera e questo farà bene alla regione. A me pare una implicita accusa di scorrettezza a Meloni, come a dire che elargisce le risorse pubbliche in base al colore politico di chi governa i territori. Che per palazzo Chigi ci sono figli e figliastri, l’amichettismo elevato a regola di comportamento tra istituzioni. Mi rifiuto di credere che un premier si comporti così, al suo posto farei di tutto per scrollarmi di dosso questa immagine. Però non mi stupisce: in questi anni la destra si è mossa così in regione, nell’erogare i fondi ha privilegiato i comuni con governi politicamente omogenei.

Lei cosa direbbe al mondo delle imprese che teme che il rubinetto dei soldi si possa chiudere?
Che qui in Abruzzo c’è una classe imprenditoriale che ha dato vita nei decenni a un forte sviluppo, e dunque non hanno alcun bisogno delle benevolenza pelosa del governante di turno. E che non devono rinunciare alla loro libertà di pensiero: se i finanziamenti spettano all’Abruzzo arriveranno, non c’è spazio per ricatti politici.

Che succede se domenica vincete voi: sarebbe un avviso di sfratto alla premier?
Una cosa è già successa: abbiamo dimostrato che è possibile costruire un’intesa tra tutte le forze democratiche per un’alternativa alle destre. Questa possibilità è già un potenziale avviso di sfratto. Se vinciamo daremo un buon governo alla nostra regione.

Durante il comizio di martedì sera a Pescara, Marsilio ha parlato molto di lei, si è persino vantato di aver richiamato dall’estero il cardiochirurgo che l’ha operata.
Credo che dipenda dalla povertà delle loro realizzazioni. Hanno iniziato la campagna elettorale convinti di avere già vinto e che il centrosinistra si sarebbe presentato diviso. Ma i numeri della sanità sono gravi: le liste di attesa, la mobilità di chi per curarsi deve andare altrove o addirittura rinuncia alle cure. La realtà si sta scontrando con la loro narrazione. E per coprire il nulla che hanno fatto provano a radicalizzare lo scontro. O dicono cose non vere: il chirurgo che mi ha operato è stato chiamato dall’Università, Marsilio non ha meriti.

Un’altra accusa che le rivolge è di essere una sorta di fantoccio nelle mani dell’ex governatore Pd Luciano D’Alfonso.
Marsilio è ossessionato da D’Alfonso ma lo capisco: il confronto tra le loro giunte è impietoso. Quando lui cita qualche cantiere aperto si riferisce sempre a decisioni prese dal predecessore. Io ho una storia personale e professionale che dimostra che non sono una testa di paglia. Ma chi usa questo tipo di argomenti si sente in difficoltà.

Che effetto le ha fatto l’arrivo a Pescara di tutto lo stato maggiore del governo?
Su quel palco c’erano tanti leader ma nessun abruzzese, compreso il presidente di regione.

Ma è così importante che sia nato a Roma? Ne fate una questione etnica?
Per carità, è una questione di conoscenza del territorio e di capacità di capire i problemi perché li si vive. Riguarda tutto quel palco: gli abruzzesi non hanno bisogno di essere gestiti da Roma.

Le destre però si sono presentate tutte insieme, lei invece è costretto a girare coi leader del centrosinistra uno alla volta, perché non vogliono stare troppo vicini. Meloni dice che lei si vergogna di loro.
Ma figuriamoci, sono orgoglioso del loro sostegno. La vera differenza è che i leader del centrosinistra vengono con me in giro per i paesi a incontrare le persone, non a fare passerelle o proclami. Sono felice che ci sostengano, ma non ho bisogno di padrini politici.

Come ha fatto a metterli tutti d’accordo?
Guardi, mi piacerebbe avere fatto questo miracolo ma non è merito mio: c’è stata una convergenza tra le forze politiche regionali prima su un programma, poi sul candidato. Il consenso dei leader nazionali è stato l’ultimo passo: parliamo di un progetto che nasce qui per l’Abruzzo, figlio di un lungo lavoro. Non lo definirei un laboratorio nazionale, anche se auspico che il metodo si applichi in altre regioni.

Con questa coalizione omnibus ha già le idee chiare su cosa farebbe una volta eletto?
Due scelte simboliche: il ritiro del parere favorevole all’autonomia differenziata e il ripristino integrale dell’area protetta del Borsacchio. Poi mi concentrerei sul vero buco nero che è la sanità.

Come?
Riorganizzando la rete di medicina territoriale per fare da filtro e iniziare a ridurre le liste di attesa e gli accessi in pronto soccorso. Poi vorrei introdurre i centri di assistenza e urgenza (Cau), sul modello emiliano: servono per curare i codici bianchi e verdi e disingolfare gli ospedali. I cittadini per curarsi devono avere in tasca la tessera sanitaria, non la carta di credito.

Lei propone il biglietto gratis per bus, pullman e treni regionali. Dove trova i soldi?
Costerebbe circa 30 milioni l’anno, che si recuperano riducendo le “leggi mancia” e con una revisione della spesa. I trasporti pubblici sono utilizzati dalle fasce più deboli ed è anche un modo per ricucire le aree interne con quelle costiere.

Perché ha invitato Todde per la chiusura di domani a l’Aquila?
Ho molto apprezzato il suo metodo che è anche il nostro: stare concentrati sui problemi dei nostri territori. La sua vittoria ci dice che è un metodo vincente. E replicabile.