• Londra blocca la Scozia sul cambio di genere agevolato. Sturgeon: «È un attacco frontale»

Scontro politico, culturale e istituzionale fra Edimburgo e Londra. Dopo averla considerata lesiva della legislazione britannica nel suo complesso, il governo di Rishi Sunak ha bloccato una legge votata dal parlamento devoluto scozzese tesa a facilitare il percorso legale di chi vuole cambiare genere, creando un inedito precedente nel rapporto costituzionale fra le due nazioni. Lo ha fatto ricorrendo a un’opzione “estrema” della giurisprudenza sulla devoluzione: l’articolo Section 35 prevede che Londra possa impedire la promulgazione di leggi da parte del parlamento devoluto che possano avere ricadute «ragionevolmente» negative sul resto della legislazione britannica, in questo caso l’Equality Act, che vige in Inghilterra, Scozia e Galles.

Durissima la reazione della premier scozzese Nicola Sturgeon, che ha definito l’intervento di Londra «un attacco frontale al nostro Parlamento scozzese democraticamente eletto» e ha promesso una battaglia legale che finirà probabilmente solo davanti alla Corte Suprema. Sturgeon vede l’ingerenza come «arma politica», la prima di una serie di iniziative atte a sabotare la devoluzione stessa, promulgata nel 1998 con lo Scotland Act.

IL CONTENZIOSO trasforma il dibattito sulla possibilità legale di cambiare genere – e dunque l’accidentato percorso verso una società post-binaria – in uno scontro politico istituzionale sullo sfondo della tensione fra il governo nazionalista del Snp e quello unionista Tory e fra i due parlamenti, Holyrood e Westminster. Già due mesi fa la Corte Suprema aveva proibito alla Scozia di indire un secondo referendum sull’indipendenza senza l’assenso di Londra, facendo infuriare i nazionalisti scozzesi.

La legge britannica sulla disforia di genere – definita un abbinamento erroneo tra il sesso biologico e la percepita identità di genere – comporta che i/le richiedenti del certificato legale di riconoscimento di genere si appellino alla commissione statale preposta presentando una diagnosi di disforia di genere forte di due certificati medici, uno con diagnosi medica e un altro che comprovi che la/il richiedente si sia sottoposta/o a terapie o interventi chirurgici al fine di mutare le proprie caratteristiche sessuali.

Deve anche dimostrare di aver vissuto per almeno due anni legalmente nell’identità di genere prescelta cambiando il proprio nome nei documenti ufficiali, o il proprio genere in quelli d’identità come passaporto o patente di guida, nonché impegnarsi sotto giuramento a mantenere detta identità di genere per tutto il resto della vita. I trasgressori del giuramento sarebbero perseguibili a livello penale. L’età minima per la titolarità della richiesta è diciotto anni.

TALE PROCEDURA è considerata da Edimburgo come complicata, lenta, invasiva e fonte di stress eccessivo. Proprio per questo il parlamento scozzese ha introdotto l’autocertificazione, eliminando la necessità di presentare la diagnosi medica e riducendo il periodo minimo di vita trascorsa nel nuovo genere da due anni a tre mesi. L’età minima necessaria per poter effettuare la richiesta scenderebbe inoltre da diciotto a sedici anni, anche se i minorenni dovranno dichiarare di aver mantenuto la propria nuova identità per almeno sei mesi anziché tre. Resterebbe l’obbligo del giuramento. L’Irlanda aveva già introdotto un’analoga procedura semplificata nel 2015.

LONDRA GIUSTIFICA L’INGERENZA perché la legge avrebbe un impatto negativo sull’uso degli spazi per sole donne da parte di maschi malintenzionati, sulle implicazioni burocratiche per i documenti a livello del Regno Unito e su alcuni sussidi di welfare. Ma i numerosi detrattori della legge vanno da certe realtà radicali del femminismo come il gruppo Women Scotland alle cosiddette terf (trans-exclusionary radical feminist), fino a personaggi iper-celebri come la scrittrice scozzese J.K. Rowling di herrypotteriana memoria.

E mentre il Labour scozzese ha votato a favore dell’autocertificazione, Keir Starmer si è detto contrario.