Lo scontro tra Hezbollah e Tel Aviv si fa già sporco ancora prima dello scoppio di un’eventuale guerra. La Missione di interposizione in Libano dell’Onu (Unifil), a guida italiana, ha trasmesso ai vertici del Palazzo di vetro un report in cui evidenzia l’uso, da parte delle forze armate israeliane, di munizioni al fosforo bianco.

Nel rapporto del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 12 luglio scorso si legge: «Unifil ha osservato colpi di artiglieria in cui sono state utilizzate munizioni al fosforo bianco in almeno tre occasioni: il 3 marzo vicino a Dayr Amis (Settore Ovest), il 3 aprile vicino ad Ayta al-Sha’b (Settore Ovest) e il 6 giugno vicino ad Arab al-Luwayzah (Settore Est)». Le munizioni al fosforo sono vietate dalla Convenzione di Ginevra del 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate eccessivamente dannose o con effetti indiscriminati (Ccw). Il terzo protocollo del testo, entrato in vigore nel 1983, vieta «in qualsiasi circostanza, di fare dei civili l’oggetto di attacchi con armi incendiarie». Eppure, le munizioni al fosforo bianco non sono interamente vietate ed è per questo che il loro utilizzo rientra nel limbo degli armamenti che spesso sentiamo nominare durante i conflitti.

La principale caratteristica del fosforo bianco è che entrando in contatto con l’ossigeno reagisce istantaneamente, prendendo fuoco e bruciando fino a quando non si esaurisce del tutto. Il prodotto della combustione del fosforo è una densa cortina di fumo che viene impiegata in battaglia per creare cortine che confondono il nemico o proteggere l’avanzata dei fanti. Di notte, il fosforo bianco è usato per illuminare le postazioni nemiche e segnalare gli obiettivi all’artiglieria. Nel sud del Libano, stando alle informazioni raccolte dall’Unifil, dai cronisti in loco e dalle fotografie dei luoghi colpiti, il fosforo bianco è impiegato dall’esercito israeliano allo stesso modo in cui si usava il napalm in Vietnam, ovvero per incendiare la boscaglia in modo che i miliziani di Hezbollah non abbiano ripari naturali nei pressi del confine. Gli usi appena citati non sono considerati illegali dalle organizzazioni internazionali e dal diritto penale internazionale.

Tuttavia, seppure il suo utilizzo verso edifici o ambienti naturali è simile a quello di altre armi incendiarie (fermo restando gli effetti altamente inquinanti per il suolo e le falde acquifere), il problema sorge quando il fosforo bianco colpisce gli esseri umani. A contatto con la pelle umana causa ustioni di secondo e terzo grado e, come con il terreno, continua a bruciare finché non si esaurisce. Da questa sua peculiarità nascono le immagini delle persone in fuga che fumano. Il fosforo bianco, infatti, può continuare a bruciare anche dopo essere penetrato sotto l’epidermide. A ciò si aggiunga il potere altamente intossicante della sostanza in questione che, oltre a danneggiare gli organi, può provocare la morte per asfissia. Il tutto in preda a dolori lancinanti dovuti a ustioni e intossicazione.

In Ucraina i russi sono stati più volte accusati di utilizzare armi al fosforo bianco, ma finora senza prove incontrovertibili. Si noti che l’uso di un’arma proibita dalla Convenzione di Ginevra si configura come crimine di guerra ed è punibile alla Corte penale internazionale dell’Aja. Per questo motivo l’accusa di utilizzare munizioni del genere è sempre trattata con tutte le cautele del caso dalle agenzie dell’Onu. Fornire le prove dell’utilizzo del fosforo bianco è un primo passaggio verso un iter processuale che può spostare la narrazione costruita durante i conflitti. La situazione in Israele è già fortemente compromessa dalla richiesta d’arresto, per crimini di guerra, del premier Benjamin Netanyahu e del suo ministro della Difesa Yoav Gallant. Un nuovo capo d’accusa del genere, soprattutto se presentato da una missione militare dell’Onu, metterebbe la leadership israeliana in una condizione ancora più difficile rispetto all’opinione pubblica internazionale.

Nel testo delle Nazioni unite, al punto 16, si legge anche che «il 4 giugno, due soldati delle forze armate libanesi sarebbero stati feriti dall’esplosione di proiettili al fosforo bianco a Markaba (Settore Est)». Il ruolo da osservatori dell’Unifil deriva anche da un dato lampante: il Libano è una polveriera e il contingente di pace da solo non sarebbe di certo sufficiente a fermare un’eventuale escalation.