L’arresto di nove soldati israeliani impiegati nel centro di detenzione di Sde Teiman ha provocato una bufera. Alle dichiarazioni di fuoco dell’ultradestra è seguito un vero e proprio assalto alla base militare trasformata in una prigione in stile Guantanamo per migliaia di palestinesi arrestati a Gaza. Quel carcere è un buco nero, dicono inchieste della stampa locale e internazionale e le denunce degli ex detenuti e di fonti mediche israeliane: i prigionieri – tra i 3mila e i 5mila – sono legati mani e piedi per settimane, se non mesi, lasciati sotto il sole del deserto, costretti a defecare nei pannolini e ad alimentarsi con le cannucce, privati di condizioni igieniche minime (le pochissime docce concesse non possono durare più di un minuto). A molti, ha rivelato un medico israeliano, sono stati amputati gli arti a causa delle catene.

La stessa Corte suprema israeliana era intervenuta poche settimane fa chiedendone la chiusura. Ieri gli arresti di singoli soldati (seppure la situazione sia strutturale) dell’unità «Force 100» sono scattati per un caso specifico: gli abusi su un palestinese, poi ricoverato in ospedale per le ferite riportate al basso ventre che non gli permettono più di camminare. A operare gli arresti è stata la polizia militare che di fronte ha trovato resistenza: alcuni soldati hanno usato spray al peperoncino contro i colleghi, mentre i “ricercati” si sono barricati nella struttura.

FUORI, l’ultradestra si mobilitava: se i due ministri Smotrich e Ben Gvir hanno preso le difese dei nove «combattenti eroi», così li hanno definiti, decine di manifestanti (tra loro riservisti e parlamentari, di cui uno, Zvi Succot, è il braccio destro di Smotrich) hanno preso d’assalto Sde Teiman riuscendo a entrare nel cortile. La polizia ha impiegato un po’ di tempo per farli uscire tutti.
Intanto sui social i video girati alle riunioni delle commissioni della Knesset mostrano parlamentari di centrodestra e ultradestra dirsi assolutamente concordi con le torture più feroci verso sospetti membri di Hamas. Il partito laburista, al contrario, ha chiesto un’indagine di ampio respiro sull’intera unità Force 100 e su chi occultamente la gestirebbe, chiaro riferimento al ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir.

Dall’altra parte della barriera di separazione, a Gaza, si continua a morire. Ieri il bilancio degli uccisi accertati è salito a 39.360 dal 7 ottobre, a cui si aggiungono circa 10mila dispersi. Con il prosieguo delle operazioni terrestri e aeree israeliane, soprattutto nel sud e nel centro di Gaza, alla popolazione non restano rifugi: lo ha ribadito ieri l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) secondo cui a oggi gli ordini di evacuazione israeliani riguardano l’86% del territorio, lasciandone appena un 14% libero dall’ordine di andarsene per ragioni di sicurezza.

Accade così che nel centro, con l’accerchiamento e il bombardamento a tappeto dei campi profughi di Bureij e Nuseirat, la popolazione si ammassi a Deir al Balah. O quella di Khan Younis e Rafah nel piccolissimo lembo di terra che è al-Mawasi. Intanto nulla si muove sul fronte negoziale. Secondo una fonte israeliana citata da Channel 12, Tel Aviv ha incluso «cambiamenti fondamentali» all’accordo con Hamas, tra cui il meccanismo di rientro degli sfollati nel nord di Gaza e il mantenimento della presenza israeliana al confine con l’Egitto. Hamas – citando l’incontro romano tra Cia e Mossad – risponde accusando il premier Netanyahu di aggiungere condizioni per far deragliare il negoziato.

È DI IERI la notizia, ora sotto indagine, della distruzione delle più grandi cisterne d’acqua di Rafah, fatte saltare in aria dalla 401esima brigata. «La distruzione della riserva d’acqua di Tal al-Sultan in onore dello Shabbat», scrive un soldato israeliano a commento del video che ha poi pubblicato online. Quella riserva forniva 3mila metri cubi di acqua al giorno agli sfollati di Rafah.