In questo periodo, dopo le ultime due prove elettorali, gli interventi giornalistici sulla morte della sinistra sono stati numerosissimi. I risultati elettorali, però, hanno semplicemente rilasciato un certificato di morte emesso con grande ritardo sulla realtà del decesso.

«Una sinistra che non ha il coraggio di dichiararsi erede della storia del movimento operaio non merita di esistere». Esattamente vent’anni fa, nell’ambito di un convegno di studi, si esprimeva in questi termini Mario Tronti. E, sempre in quell’occasione, Tronti affermava di non capire «la rinuncia» della sinistra a quella storia per abbracciare un «nuovo che avanza», ed il nuovo era «il vecchio che vince».

EBBENE IN QUEL 1998 Tronti stava dicendo, in verità, che la parte di gran lunga maggioritaria della sinistra era morta perché aveva abdicato alla propria funzione storica, si era strappata dalla propria storia per diventare importante componente della storia di altri.

Qualche tempo fa Carlo Galli ha opportunamente ricordato che «sono state le sinistre a introdurre il neoliberismo in Europa: Blair, Delors, Mitterand, Schroeder, Andreatta, D’Alema, Bersani» («Ragioni politiche», 3 luglio). Da circa cinque lustri la sinistra è stata certamente protagonista di una storia, quella che ha costruito le condizioni istituzionali nelle quali meglio potesse svolgersi la logica dell’attuale fase di accumulazione del capitale.

Carlo Galli, chi scrive e molti altri hanno rammentato spesso questo aspetto della vicenda storica degli ultimi venticinque anni la cui verità regge a qualsiasi prova analitica, seppure non particolarmente raffinata. Su tale piano la ormai lontana morte della sinistra le cui radici affondano nella storia del movimento operaio e socialista, del comunismo italiano, è davvero incontrovertibile.

POI CI SONO ALTRI PIANI, quello dell’opportunità politica (spesso opportunismo) che rendono necessario il mantenimento in vita dei simulacri più innocui del cadavere. E allora si dice di essere rimasti fedeli ai «valori», d’interpretare una sinistra «moderna». Puro flatus vocis, i valori fluttuano in un aere dematerializzato, e sulla «modernità», anzi sulle «diverse modernità» manca qualsiasi analisi seria.

Anche la parte della sinistra, peraltro minoritaria, che ha voluto mantenere in vita nelle nuove condizioni la funzione storica della antitesi alle logiche del capitale, ha delle responsabilità per gli esiti catastrofici in cui si trova oggi ad operare la nostra parte. Credo che si debba riflettere su quanto, secondo la testimonianza di Bertinotti, nel 2005, un alto funzionario del Partito comunista cinese ebbe a dire ad una delegazione del Prc che illustrava, con «lunghe analisi», la situazione italiana: «Mi spiegate come mai vista la vostra capacità di interpretare il mondo e i fenomeni politici, vista la vostra intelligenza, poi nel vostro Paese, quando andate alle elezioni prendete poco più del 5 per cento?» Ed oggi pure quel 5% appare come un miraggio.

Certo era veramente difficile convivere con il fantasma di un partito come quello comunista italiano che aveva rappresentato davvero uno dei punti più alti nella elaborazione culturale e nella pratica politica della sinistra occidentale. Un fantasma, appunto, ma che continuava a riflettere, come in uno specchio, la parvenza di una corporeità. Quello specchio deve essere definitivamente spezzato, il cadavere deve essere seppellito ed in una fossa profonda.

GLI ATTUALI PRONUNCIAMENTI di alcuni dirigenti (o ex) del Pd sul fatto di aver compreso, dopo le batoste elettorali, gli «errori (?)» commessi, non è altro che un flebile balbettio imposto dalle logiche di un riposizionamento del tutto interno parametri consolidati nel tempo. La sedimentazione, per quasi trent’anni di densa storia, di una cultura politica ispirata dal nocciolo duro delle teorie economiche dominanti, la sedimentazioni di militanti e dirigenti da questa cultura inevitabilmente plasmati, non sono fenomeni di superficie.

Una vera (ri)costruzione non sarà possibile se non attraverso una seria definizione della totale estraneità culturale e politica nei confronti di qualsiasi centro sinistra, di qualsiasi Pd, vuoi renziano, vuoi altro.

SI TRATTA DI UNA CONDIZIONE necessaria nel senso pieno del termine, cioè che non può non essere, per iniziare davvero quello che sarà comunque un percorso difficile.

Necessaria, ma assolutamente non sufficiente visto lo stato in cui versa oggi la nostra parte. I problemi da affrontare sono molti, complicati, e i meccanismi di una frammentazione che sembra inarrestabile, li rendono intricatissimi.

Sembra non ci abbia insegnato niente il disastro delle elezioni di marzo dove due liste divise hanno ottenuto risultati imbarazzanti. Ora rischiamo di andare alle europee con un numero addirittura superiore di liste. «Saper gestire le nostre contraddizioni, come insegnano Marx e Gramsci» (V. Perli, il manifesto 26 settembre), è sapienza e maturità politica e non accomodante sentimento di buona volontà.

Naturalmente se c’è l’analisi dei «fondamentali» in comune, cioè, come ha ricordato Alfonso Gianni (il manifesto, 29 settembre), il riferimento essenziale agli «strumenti della critica dell’economia politica». Ed è su questo che sarà necessario riflettere a lungo.