Una sberla in pieno viso. E’ stato questo l’effetto della notte elettorale per il Partito democratico di Bologna. Arrivato alla vigilia del voto convinto di poter portare a casa la vittoria al primo turno, il Pd, e con lui il sindaco democratico in cerca del bis Virginio Merola, si è trovato man mano che passavano le ore sempre più in basso. Fino ad arrivare al 39% dei voti.
Cinque anni fa, quando Merola vinse di un soffio al primo turno, la coalizione di centro sinistra incassò 106 mila voti. Domenica si è fermata a quota 68 mila. Quasi 40 mila in meno. A pesare probabilmente anche fattori nazionali: la campagna referendaria d’ottobre già entrata nel vivo, la fine della luna di miele di Renzi con gli elettori, l’astensionismo che questa volta ha picchiato forte anche nello storicamente disciplinato elettorato democratico.
Ma evidentemente molte cose non hanno funzionato a livello locale. «Non è il momento di perdere fiducia. Certamente non è quello delle rese di conti interne», ha commentato la deputata Pd Donata Lenzi. Una delle poche a parlare fino alle sei del pomeriggio, quando il sindaco si è presentato in Piazza dell’Unità, cuore della Bolognina. Chi si aspettava una svolta a sinistra è rimasto deluso. Merola ha tirato dritto, ha detto «no» ad ogni accordo nel secondo turno con i centristi, ha rifiutato ogni confronto con la candidata leghista, ha ammesso di avere sbagliato la campagna elettorale: «Dovevo comunicare di più e stare di più nelle strade, invece sono rimasto troppo nei ministeri. Ora sarò un sindaco di strada. I bolognesi ci hanno mandato un segnale e lo raccoglieremo, faremo di più su mobilità, sicurezza e pulizia. Nessuno deve credere che la destra possa fare queste cose meglio di noi, per questo dobbiamo parlare anche ai moderati, perché la nostra visione di città è diversa da quella della Lega».
Così il primo cittadino di un partito che a Bologna è abituato non a vincere, ma a stravincere. E che questa volta è stata invece trascinato al ballottaggio da una destra che fino ad un mese prima del voto era spaccata e rissosa. Complice anche l’annichilimento della lista di Amelia Frascaroli, che avrebbe dovuto sostenere il Pd da sinistra e che invece è rimasta sotto al 3% stritolata da Coalizione civica, lista alternativa al Pd che in città ha raccolto il 7% dei voti.
Per il Pd il ballottaggio è arrivato nonostante il risultato modesto della Lega che non ha passato il 10% dei voti, e assieme a Forza Italia, Fratelli d’Italia e liste di supporto ha raggiunto a malapena il 22%. Poco, ma tanto è bastato per andare al secondo turno staccando nettamente un Movimento 5 Stelle che ha sognato il colpaccio per un’ora o poco più, giusto il tempo di passare dalle prime proiezioni televisive ai dati reali. Massimo Bugani, candidato sindaco dei grillini bolognesi, ha incassato il 16% dei voti, cinque anni fa i grillini erano solo al 9%. Ma rispetto al risultato di Roma quella bolognese resta una performance a dir poco incolore. «Impossibile fare di più», si limita a dire il diretto interessato per poi puntare il dito contro i dissidenti. «Siamo stati sommersi dal fango», spiega Bugani. Ma il lavorio continuo dei tanti fuoriusciti (o espulsi) dal Movimento è ormai un dato strutturale per Bologna, la città dove i grillini sono sbocciati, ma anche la città dove le spine delle epurazioni hanno lasciato segni indelebili.
A fare festa con 12 mila voti è invece Coalizione civica, formazione bolognese che ha messo assieme i tanti pezzi della sinistra alternativa al Pd di Merola.
Un dato che in percentuale si è trasformato nel 7,10% delle schede. Non il risultato a doppia cifra che alcuni sognavano alla vigilia, comunque un risultato importante che fa diventare Bologna un caso nazionale. Nessuno, nella sinistra anti Renzi, ha fatto meglio della squadra del candidato sindaco di Coalizione, il giuslavorista Federico Martelloni. In Consiglio comunale Martelloni entrerà di diritto in quanto candidato sindaco. Assieme a lui Emily Clancy, avvocato praticante, specializzata nei diritti lgbtq, dj e politicamente proveniente da Sinistra ecologia e libertà.
Infine c’è il dato di Manes Bernardini, ex leghista ora alla guida di una formazione di centro che ha raccolto il 10% dei voti. Voti che al ballottaggio potrebbero risultare decisivi.