I funerali servono più ai vivi che ai morti che, essendo appunto morti, non possono vedere l’effetto che fa la loro dipartita e questa è una delle seccature del non esserci più. Se si vuole fare sul serio, a un funerale reale serve un grande senso della messa in scena, e gli inglesi ce l’hanno. Anche se la regina Elisabetta II poteva immaginare l’immenso cordoglio che la sua morte avrebbe provocato nella nazione, vedere come i suoi sudditi l’hanno salutata ha destato una certa impressione, soprattutto in chi un re non ce l’ha più, come noi, e non ne ha nostalgia. In Europa ci sono nazioni che i sovrani li hanno cacciati con rivoluzioni e decapitati, altre che se li tengono in via del tutto formale, ma non li celebrano come gli inglesi hanno fatto con Elisabetta II.

LE DIRETTE della Bbc hanno mostrato full time ogni momento, il viaggio delle spoglie della regina da Balmoral a Londra, passando per Edimburgo, proprio in quella Scozia che sta seriamente pensando di rendersi indipendente, e poi il giuramento del nuovo re dal Galles al nord Irlanda, le uscite della famiglia reale a salutare la gente, le code di 24 ore per rendere omaggio al feretro, le interviste a giovani e anziani che prendevano il treno da ogni dove, il desiderio di esserci, di partecipare, di vivere il lutto tutti assieme, in un gigantesco rito collettivo che, dicevano, li faceva sentire nazione.

Migliaia di persone in divisa, molti in alta uniforme, procedono ordinati e compatti, sulle note della marcia funebre tratta dalla terza sinfonia di Beethoven

Al di là del ruolo effettivo della casa reale, ciò che si è visto in questi dieci giorni è stata la rappresentazione di un simbolo, la messa in scena di una potenza che ha nostalgia del proprio impero e lo celebra con grandiosa teatralità. D’altra parte, Shakespeare è nato lì e non è un caso se continuiamo ad assistere alle sue opere che parlano di re pazzi, re sanguinari, re fratricidi e figlicidi, re e regine voraci di potere, sempre il potere, quella sete mortifera che continua a muovere parte del mondo. Senonché, essendo appunto la casa reale dei Windsor più di facciata che di sostanza decisionale, i funerali di Elisabetta II hanno dato modo di dispiegare a piene mani il simbolico. E allora ecco arrivare tutti i rappresentanti delle forze armate in versione massimamente dolente e celebrativa, ed è qui che si è avuto l’effetto quasi ipnotico, e anche un po’ surreale, che ha messo insieme il massimo del rigore militare con il massimo della capacità organizzativa con il massimo dello spettacolo.

LE PARATE, le marce, le bande che hanno accompagnato il feretro da Buckingham Palace all’Abbaia di Westminster, e ritorno, sono un pezzo di teatro assoluto. Migliaia di persone in divisa, molti in alta uniforme, procedono ordinati e compatti, sulle note della marcia funebre tratta dalla terza sinfonia di Beethoven e adattata per banda, al ritmo di timpani e tamburi, in corteo per oltre un’ora, tutti all’unisono, prima destro poi sinistro, come una grande onda che avanza, e dietro, accanto ai fratelli, spicca lei, Anna, l’unica figlia femmina della regina, l’unica donna della famiglia reale a piedi e in alta uniforme di capitano generale dei Royal Marines, che non toglierà mai, né nei due cortei e nemmeno nella veglia, anche se i suoi titoli militari sono solo onorifici, perché non ha mai servito nell’esercito, mentre le altre donne, le consorti, resteranno sempre in abito nero, cappelli, velette, tacchi, gioielli più o meno sobri, e si sposteranno in auto.
Un cittadino ha detto che andava a rendere omaggio alla regina defunta «Perché sarà l’ultima che vedrò, visto che i prossimi eredi sono tutti maschi, e questo mi rende un po’ triste». Gli inglesi ora hanno un nuovo re. E poi c’è sua sorella.