Il flop politico del “campo largo” che ha spianato la strada al centrodestra e ai 5stelle sta tutto nei numeri. Quelli usciti dalle urne. Ap si è liquefatta, i centristi sono scomparsi, gli orlandiani non pervenuti. Un disastro annunciato è vero, ma che alla prova dei seggi ha assunto proporzioni al di là delle peggiori aspettative. Perde il centrosinistra e perde davvero male, dopo avere dileggiato Rosario Crocetta, costringendolo a mettersi da parte in ogni modo. Il responso per loro è impietoso.

Alfano innanzitutto. Il suo partito è fuori dal Parlamento. La sua lista si è ferma al 4%, una débâcle per il ministro degli esteri anche nella sua Agrigento, dove è stato surclassato dall’Udc e dagli ex cuffariani. Il risultato rivela che il peso attribuito agli alfaniani, corteggiati per settimane da Renzi e da Berlusconi tramite il suo delfino Gianfranco Miccichè, in realtà era solo virtuale. La sconfitta è totale.

Spariscono pure i centristi.

Casini e D’Alia dicono addio all’Assemblea, dopo essere stati uno dei gruppi più numerosi nella parte finale della legislatura. Proprio loro, i più accaniti contro Crocetta, escono dal Palazzo. Fu D’Alia a spingere l’ex sindaco di Gela a candidarsi cinque anni fa e fu D’Alia un anno fa a voltargli le spalle, uscendo dal governo ma solo dopo le imbarazzanti frasi omofobe, intercettate in una inchiesta della Procura di Trapani, di Giovanni Pistorio, che fu costretto a dimettersi da assessore.

Non solo. Casini e D’Alia sono stati tra i protagonisti dell’accordo Renzi-Alfano che ha fatto scappare a gambe levate la sinistra, che ha poi appoggiato Claudio Fava. Una scelta che gli elettori hanno bocciato, evidentemente.

A pagarne le conseguenze sono alcuni big cosiddetti “moderati”, tra questi il più illustre è Giovanni Ardizzone. Il presidente uscente dell’Ars era capolista a Messina, dove Ap ha sfiorato il 5% con una performance che non solo è stata al di sotto delle aspettative, ma è risultata inferiore a tutte le liste in campo, superando solo quella degli indipendentisti dei Siciliani liberi, che hanno raggranellato un magro 0,3%.

Non ce la fa a entrare in Parlamento neppure Arcipelago, la lista di riferimento di Fabrizio Micari e Leoluca Orlando, suo big sponsor. Il risultato è catastrofico: poco sopra il 2%. E in alcune province addirittura il dato elettorale è da prefisso telefonico. A non credere nella lista, fatta in fretta e furia perché Orlando non aveva candidati credibili, sono stati molti suoi “compagni” di viaggio. Fin dalla prima ora in pochi hanno creduto che potesse farcela.

Persino Renzi se n’è tenuto lontano, dedicandogli appena un’ora prima di volare per gli Stati Uniti.

E le urne ancora una volta non mentono: Micari risulta vittima del voto disgiunto; il professore ha ottenuto ben sette punti in meno della sua coalizione. E sette punti sono proprio quelli che Giancarlo Cancelleri ha avuto in più rispetto alla lista del M5S. Insomma, gli appelli al “voto utile” lanciati in campagna elettorale da ministri e sottosegretari del Pd contro Fava si sono ripercossi contro Micari, con buona pace di Cancelleri, che ha beneficiato del malloppo di consensi provenienti da un pezzo di elettorato di centrosinistra.

Crocetta è fermo nella sua analisi: «Col cosiddetto ‘modello Palermo’ hanno scientificamente voluto il mio assassinio, che però si è trasformato nel loro suicidio». E ricorda: «Una parte del Pd mi ha fatto la guerra per cinque anni. Io ho fatto tutto quello che mi è stato chiesto: non mi sono ricandidato, non ho presentato il Megafono e ho dovuto inserire i miei candidati nella lista Micari, perché il sindaco Orlando non è riuscito a comporre nemmeno le liste». «Alla fine l’anti-crocettismo – riflette amaro – ha portato alla sconfitta. Ho la coscienza di aver fatto il mio dovere e di essere stato leale».