All’improvviso, la variante Zelensky. Lo Shangri-La Dialogue, il massimo forum sulla sicurezza dell’Asia-Pacifico, si stava sviluppando come ormai tradizione sulla competizione tra Stati uniti e Cina. Poi è spuntato il leader ucraino, giunto a Singapore con due scopi. Primo: concordare col capo del Pentagono, Lloyd Austin, quali obiettivi russi colpire con le armi messe a disposizione dagli Usa. Secondo: ottenere maggiore sostegno dai paesi asiatici, stimolando la partecipazione alla conferenza sulla pace di Lucerna, su cui però la Cina ha dato riscontro negativo per l’assenza della Russia.

NON È SCONTATO invece un bilaterale col ministro della Difesa Dong Jun, che fino a ieri sera era intento a rivedere il suo discorso, che tiene oggi in sessione plenaria qualche ora prima dell’intervento di Zelensky. La delegazione cinese si trova dunque a gestire un dossier inatteso, anche se non del tutto visto che le voci sul possibile arrivo del presidente ucraino giravano già venerdì. Ma certo gli uomini della difesa di Pechino erano già piuttosto impegnati a preparare la risposta al discorso di Austin e a quello del presidente filippino Ferdinand Marcos Jr, che ha aperto lo Shangri-La Dialogue venerdì sera. “Nonostante Zelensky, il centro dell’attenzione qui resta sempre la rivalità sinoamericana e il mar Cinese meridionale”, dice un delegato del Vietnam, paese quest’anno più attivo delle passate edizioni seppur con un tono sempre molto piu cauto rispetto a quello di Manila.

La contrapposizione tra Washington e Pechino è forte, ormai sedimentata in due visioni di mondo agli antipodi. Anche se i toni, rispetto al minimo storico del 2023, sono leggermente meno tesi. Lo scorso anno, il cinese Li Shangfu rifiutò di incontrare Austin per la mancata rimozione delle sanzioni a suo carico per l’acquisto di armi russe. Nel frattempo, è stato rimosso lui, per motivi mai ufficializzati. L’arrivo di Dong è coinciso con una parziale stabilizzazione del disaccordo, con la ripresa del dialogo a tutti i livelli. A parte quello militare. Passo compiuto venerdì con il primo bilaterali tra capi della difesa dopo due anni.

LE DIVERGENZE restano, ma il confronto di 75 minuti (che Pechino ha definito “positivo e costruttivo”) ha prodotto un discorso di Austin più morbido del previsto. Il capo del Pentagono ha cominciato elogiando la ripresa delle conversazioni con la Cina, che non ha praticamente mai citato esplicitamente per tutto il resto dell’intervento. Frase standard su Taiwan, soprattutto risposta vaga su che cosa farebbe scattare il trattato di mutua difesa con le Filippine. Cautela apprezzata da parte cinese, visto che Marcos aveva appena tracciato una linea chiara come mai prima: “La morte su azione volontaria di un nostro marinaio o funzionario significherebbe passare il Rubicone”.

L’ASSERTIVO DISCORSO del leader di Manila, che ha definito «fantasie» le rivendicazioni territoriali di Pechino nel mar Cinese meridionale, lascia comunque percepire alla delegazione cinese un senso di accerchiamento. Come se Washington si potesse permettere un approccio più morbido grazie a quello più duro dei suoi alleati. È forse per questo che il tenente generale Jing Jianfeng sostiene che gli Usa intendano costruire una «Nato asiatica».

UNO SPAURACCHIO per Pechino, che percepisce l’attivismo americano nella regione come una “interferenza” votata alla complicazione dei dossier più delicati in ottica anti cinese. «La nostra presenza è vitale per il futuro dell’Indo-Pacifico e la regione è più vitale che mai per gli Usa», ha però detto Austin, parlando di una «nuova convergenza» che «non è una singola alleanza ma una rete di partnership e iniziative complementari tra paesi che condividono gli stessi interessi e valori».

All’ombra della rivalità tra le grandi potenze, gli attori asiatici provano in realtà soprattutto a evitare di diventare un terreno di scontro. Anche se l’arrivo di Zelensky a Singapore costruisce un ponte col fronte europeo che molti vorrebbero non attraversare.