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L’intellettuale collettivo della sinistra

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Mi riprendo il manifesto Questa proprietà popolare, cioè etimologicamente, pubblica della testata, è, dunque, un progetto di autonomia politica che non riguarda solo un giornale, ma indica un percorso necessario alla sinistra italiana

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 16 novembre 2014

La campagna di massa per riacquistare la testata de «il manifesto» non è uno dei tanti tentativi di resistenza finanziaria di un giornale; è molto di più ed è una cosa molto diversa.

Intendiamoci: se fosse solo questo, la sosterremmo comunque, ma, forse, con minore entusiasmo e con una punta di quella malinconia che, troppe volte, ha accompagnato la sopravvivenza di esperienze della sinistra.

Non si tratta solo di questo, a nostro avviso, per tre ragioni essenziali.

La prima. È già stata detta, ma siccome è una verità storica, non fa male ribadirla: «il manifesto» non è, non è mai stato, solo un giornale, solo una libera voce critica che, pure, più che in passato, nel tempo del dominio dell’esistente, di questo pessimo esistente regressivo, non sarebbe cosa di poco conto. Esso è stato ed è una soggettività politica reale, un intellettuale collettivo che non ha mai concepito la propria libertà giornalistica come altra cosa dalla responsabilità politica; ma, d’altra parte, non ha mai inteso questa responsabilità come una foglia di fico, per tacere errori o critiche.

Questa proprietà popolare, cioè etimologicamente, pubblica della testata, è, dunque, un progetto di autonomia politica che non riguarda solo un giornale, ma indica un percorso necessario alla sinistra italiana.

La seconda. La dispersione di questa sinistra potrà essere ricomposta, con tutte le fatiche e le incertezze del caso, solo attraverso la ripresa, il consolidamento, di un conflitto sociale fortemente partecipativo e non puramente difensivo, capace di tornare a rappresentare ed unire il mondo del lavoro.

È una sfida alla crisi della democrazia repubblicana cui «il manifesto», prima, durante e dopo il 25 ottobre, ha scelto – fedele alla sua storia, ma con un segno nuovo della responsabilità presente – non di assistere o solo raccontarla, ma di esserne parte organica, uno dei luoghi in cui è possibile amalgamare quella dispersione e dare forma al nuovo.

La terza. Per tutti questi motivi, dunque, non è la difesa di un pezzo di storia, ma la costruzione collettiva di uno strumento di battaglia politica e culturale, per dare consistenza e voce ad una nuova autonomia della sinistra italiana ed europea; l’unica alternativa realistica ai populismi autoritari, cioè, la possibilità di una nuova stagione delle democrazie.

Non crediamo di sovraccaricare di significato questa campagna, né, pensiamo, questa asta poteva capitare in un momento più opportuno; tra questo novembre e la prossima primavera succederanno cose che non lasceranno immutata la democrazia italiana.

L’autonomia di questa testata è parte di un’autonomia più grande da ricostruire, senza la quale – dopo trent’anni dovrebbe essere abbastanza chiaro – nessun progetto egemonico, di cambiamento, è nemmeno pensabile.

* Andrea Bajani, Giuseppe Buondonno, Enrico Capodaglio, Mario Dondero, Angelo Ferracuti, Massimo Raffaeli, Francesco Scarabicchi, Emanuele Zinato 

 

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