Il giorno dopo l’affondo rabbioso contro la Francia, accusata di muovere i fili della nuova crisi libica, il governo sterza e passa alla diplomazia. L’obiettivo è fare della conferenza di pace di novembre a Roma l’occasione per sciogliere il nodo aggrovigliato dell’infinita crisi libica. Per questo è necessario che i rapporti con Parigi si distendano. L’Italia fa la propria parte evitando nuovi attacchi. La Francia risponde con una dichiarazione del ministro degli Esteri Le Drian. Assicura che «gli sforzi della Francia non sono rivolti contro nessuno e certamente non contro l’Italia, di cui sosteniamo l’iniziativa di organizzare una nuova conferenza su questo dossier importante per i due Paesi». Rispetto alle lame sguainate di 24 ore prima è un passo avanti.

Un passo avanti anche più importante è quello raggiunto sul fronte di Tripoli con l’accordo per il cessate il fuoco. Il ministro degli Esteri Moavero lo definisce «molto positivo» e si complimenta con il Rappresentante Onu per la Libia Salamè, artefice dell’intesa. La nota di palazzo Chigi, rilasciata al termine del vertice pomeridiano con il premier, Moavero, Salvini e la ministra della Difesa Trenta, è stringata: «Il governo resta estremamente concentrato nel seguire gli sviluppi in atto in Libia, nell’auspicio di un superamento delle attuali tensioni». Definirlo burocratico è poco.

La prudenza di Conte svela che, nonostante il segnale da Tripoli autorizzi qualche ottimismo, il governo italiano sa bene che la tregua è fragile e potrebbe essere rotta da un momento all’altro. Quando alle 17 i ministri interessati sono arrivati a palazzo Chigi, senza Di Maio che però da Napoli si fa sentire a più riprese, Moavero aveva già parlato direttamente con il presidente libico Serraj, il leader su cui punta Roma per difendere i propri cospicui interessi nel Paese che rischia di precipitare in una nuova guerra civile. Gli aveva assicurato la massima solidarietà dell’Italia ma aveva anche cercato di mettere a fuoco una strategia per uscire dal vicolo cieco. Lo stesso punto, del resto, era stato al centro anche dei colloqui con Salamè, iniziati già martedì e poi proseguiti ieri con un filo diretto continuo. La nota della Farnesina, dopo aver espresso soddisfazione per l’intesa e aver auspicato che si traduca subito in un effettivo «cessate il fuoco», si affida infatti al palazzo di vetro. Obiettivo di Roma, si legge, è «aiutare a ristabilire una situazione che consenta alla Libia di proseguire in una positiva evoluzione politica sotto l’impulso dell’Onu».

La riunione, infatti, ha messo a punto «alcuni particolari» sulla conferenza di novembre. Ma il nodo cruciale rischiano di essere le elezioni che Haftar, spalleggiato dalla Francia, insiste perché si svolgano come già deciso in autunno mentre Serraj, con l’Italia, ne chiede il rinvio. E’ un nodo che può essere sciolto solo da un intervento dell’Onu, coadiuvato da una iniziativa diplomatica serrata non solo tra le fazioni libiche ma anche tra Roma e Parigi. Moavero comunque ha fatto sapere di essere pronto a riferire sulla situazione in Parlamento, come richiesto ieri dai capigruppo di LeU, poi dal Pd.

Non c’è neppure stato bisogno, invece, di escludere ogni fantasia di intervento militare. Era già stata cassata da tutti martedì e a riprendere l’argomento è solo Di Maio, che coglie l’occasione per spostare un po’ il Movimento verso le sue posizioni originarie, in parte cercando di recuperare i consensi in uscita: «La democrazia non si esporta con le bombe». Anche lui punta su una conferenza di pace, che dovrebbe però coinvolgere tutti i Paesi coinvolti a vario titolo nella crisi, inclusi dunque Russia ed Egitto.

La Libia non era l’unico punto all’odg del vertice di palazzo Chigi. Altrettanto centrale il capitolo immigrazione, in vista del vertice del 20 settembre a Salisburgo. La posizione italiana, ufficializzata dalla nota conclusiva di palazzo Chigi, punta anche in questo caso a un maggiore coinvolgimento della Ue: «La priorità dell’Italia resta quella di ottenere più fondi nel bilancio Ue per gli interventi di sviluppo nei Paesi da cui partono i migranti». Obiettivo: «Creare le condizioni per ridurre le partenze».