Ingolosite dai trionfi militari, le forze del Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli non si fermano più. Dopo aver «liberato» negli ultimi giorni tutta la capitale e la città di Tarhuna grazie al fondamentale sostegno turco, ora puntano a Sirte. Il Gna sa che l’occasione è ghiotta: il suo nemico Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), è ormai alle corde.

Bashaga, il ministro degli Interni di Tripoli, è esplicito: «Siamo intenzionati a recuperare il resto del territorio in mano ad Haftar e lavoriamo per impedire alla Russia (alleata dell’Enl, ndr) di aprire una base militare nel paese prima delle trattative di pace».

Già, negoziati. Parola da cui si rifugge in Libia quando l’inerzia del conflitto militare è favorevole. Chiede la tregua chi è in difficoltà. Per mesi è stato infatti il Gna assediato a richiederla.

Ora però lo scenario bellico si è capovolto e sono gli alleati del generale a proporre il cessate il fuoco. L’ultimo, quello annunciato sabato dal presidente egiziano al-Sisi e che sarebbe dovuto cominciare ieri alle 6 di mattina, era stato preso in considerazione da molti fuori della Libia.

Gradimento per l’iniziativa egiziana era stato espresso da Onu, Usa, Russia, Francia e Grecia. In una nota anche l’Italia aveva fatto sapere di aver «accolto con attenzione l’annuncio» egiziano.

La proposta del Cairo è stata premiata ieri da Roma da una telefonata tra il premier Conte e al-Sisi. Due i punti: la «collaborazione bilaterale» tra i due paesi «da quella industriale a quella giudiziaria, con particolare riferimento al caso Giulio Regeni» e il dossier libico.

Su questo punto, l’Italia ha ribadito una «iniziativa di pace nel quadro del processo di Berlino». Il Cairo concorda: al-Sisi sa bene che lo stop alle violenze in Libia è l’unica soluzione per attutire la sconfitta militare del suo deludente alleato Haftar. Farsi promotore di pace serve inoltre a ripulire internazionalmente la sua faccia da repressore feroce in casa.

A questo è servita veramente la «Dichiarazione del Cairo» di sabato che mai avrebbe potuto trovare consensi a Tripoli. Del resto le forze del Gna sono state chiare: si fermeranno solo dopo aver preso Sirte e Jufra.

La prima è città costiera strategica perché a metà strada tra Tripoli e Bangasi e prenderla vorrebbe dire puntare ai terminal petroliferi della costa e a sud ai pozzi del Fezzan (obiettivo turco). La seconda è tra le basi militari più grandi del paese. In un conflitto che si vince nei cieli, assicurarsi Jufra vorrebbe dire minacciare ancora di più la Cirenaica a est.

Tuttavia, a Jufra sorge un problema non di poco conto: qui la Russia ha schierato i suoi caccia giunti dalla Siria. Attaccarli potrebbe provocare un’escalation con i russi che nessuno vuole. Non a caso si parla di una possibile intesa tra Tripoli e Mosca che prevedrebbe uno spostamento in Cirenaica di tutti gli armamenti dell’Enl sulla linea che da Ras Lanuf arriva al sud.

Ma per ora sono congetture. Di certo risuonano le armi: a Sirte si contano già otto civili uccisi (tre donne e due minori) per i razzi del Gna. Le milizie di Misurata, schierate con Tripoli, avanzano non solo in città, ma hanno costretto l’Enl a ritirarsi da Bouirat al-Hassoun e al-Washaka (est di Sirte).

L’Onu, intanto, denuncia saccheggi e distruzioni avvenute nelle città di Asabiya e Tarhuna (riconquistate pochi fa dal Gna) e si dice «allarmata per il danno inflitto alla popolazione civile»: gli ultimi combattimenti hanno provocato più di 16mila sfollati in quest’area.