Si fa sempre più teso il clima in Libia dove forze del generale Haftar si sono dette ieri pronte ad «affrontare in modo ostile qualsiasi nave turca che si avvicinerà alle coste libiche». L’ammiraglio Faraj al-Mahdawi, capo di stato maggiore delle forze navali dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), non ha usato giri di parole: «Ho ricevuto ordini chiari di distruggere qualsiasi nave turca che dovesse venire a effettuare attività di ricerca di petrolio all’interno dei confini marittimi libici».

L’AGGRESSIVITÀ degli uomini di Haftar, uomo forte del governo di Tobruk nell’est del Paese – amministrazione parallela e rivale a quella di Tripoli del Governo di accordo nazionale (Gna) riconosciuto internazionalmente – nasce dai memorandum d’intesa siglati lo scorso 27 novembre da Turchia e il Gna in campo marittimo e militare. Uno dei quali, in particolare, prevede l’istituzione di una nuova giurisdizione delle acque di competenza a livello commerciale e securitario che di fatto taglia fuori Creta e Cipro a tutto vantaggio della Turchia.

LA PROTESTA DELLA GRECIA è stata immediata e furiosa: Atene ha parlato di accordo «nullo» e fatto «in cattiva fede» e ha espulso l’ambasciatore libico. L’intesa ha generato contrarietà anche in Europa dove il nuovo Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, ha auspicato una posizione unitaria di Bruxelles su questa questione. Rammarico per la mossa turca-libica è stata espresso dall’inviato Onu in Libia Ghassan Salamah che teme ora un nuovo stop al processo politico. A partire dalla conferenza sulla Libia prevista a Berlino per gennaio.

DA ROMA IL MINISTRO degli Esteri Di Maio parla di «accordi non legittimi perché non considerano la Grecia e quanto deciso passa vicino alle isole greche», ha detto il titolare della Farnesina. Un commento condivisibile se non fosse che a parlare è il ministro di un Paese che è il primo sponsor di Tripoli e di al-Sarraj, premier riconosciuto internazionalmente ma assai meno in Libia.

La mossa del suo Gna non è altro che l’ennesimo schiaffo libico all’Italia. Sbeffeggiato recentemente due volte da Haftar con l’abbattimento di un drone italiano e dall’attacco al giacimento di al-Feel (al sud) in cui opera anche l’Eni, il governo Conte non ha alcun peso su quanto avviene sull’altra sponda del Mediterraneo.

Se Di Maio, infatti, parla di «soluzione politica e non militare», di tutt’altro avviso sono gli altri attori regionali. Il presidente turco Erdogan tre giorni fa ha detto che Ankara ha diritto di dispiegare le sue truppe in Libia qualora Tripoli lo richiedesse. Un annuncio che ha scatenato l’ira di Haftar che, sostenuto da Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Russia e Francia, da ormai otto mesi prova a penetrare senza riuscirci nel cuore della capitale per espugnare i «terroristi».

HAFTAR SA BENISSIMO che un’eventuale presenza turca impedirebbe il raggiungimento del suo obiettivo, proprio ora che sembra essere vicino grazie al contributo di contractor russi del gruppo Wagner. Di fronte alle minacce dell’ammiraglio di Haftar al-Mahdawi, Ankara ha fatto però oggi un passo indietro con il suo ministro degli Esteri Cavusoglu spiegando che «l’accordo di sicurezza non include alcuna clausola sull’invio di truppe».

Toni distensivi li usano gli Usa che con il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo si dicono pronti a lavorare con i russi per organizzare un tavolo negoziale che riunisca tutte le parti coinvolte nel conflitto in corso in Libia. Una posizione condivisa a parole anche dal Cremlino che però continua ad aiutare Haftar militarmente.

LA SITUAZIONE UMANITARIA nel Paese nel frattempo si fa sempre più drammatica. I dati pubblicati dall’Onu parlano da soli: 647 vittime civili dall’inizio dell’offensiva di Haftar su Tripoli lo scorso 4 aprile; 61 casi di attacchi contro strutture mediche e il loro personale, un aumento del 69% rispetto allo stesso periodo del 2018. Questa è la Libia «liberata» dalla guerra della Nato del 2011.