Kobane è di nuovo libera. Il colpo di coda dello Stato islamico (Is) è durato appena 48 ore. «È un grande giorno per noi. Daesh è il primo nemico delle donne. I miliziani dello Stato islamico non accettano che uomini e donne siano uguali per questo hanno formato uno stato contro le donne», è la reazione alla liberazione di Kobane della comandante Ypj Ariane, che abbiamo raggiunto al telefono.

Se una parte della stampa ha subito gridato alla riconquista jihadista della piccola città al confine tra Turchia e Siria nel Kurdistan siriano (Rojava), i combattenti kurdi hanno dimostrato ancora una volta di essere più forti di un manipolo di jihadisti.

L’assalto improvviso dei miliziani mascherati, le auto imbottite di esplosivo, le Unità kurde di protezione popolare maschili e femminili (Ypg e Ypj), colte di sorpresa mentre erano impegnate al fronte di Ain Issa (ora sguarnito di soldati, tornati per dare manforte ai militari di stanza a Kobane dopo l’assalto di Is), a 50 chilometri dalla roccaforte jihadista di Raqqa, di certo devono aprire una riflessione nel Cantone di Kobane sulla gestione della sicurezza dei confini e all’interno della città.
Ma è ancora tempo di bilanci drammatici. Sono 206 le vittime delle sparatorie dei jihadisti nel centro di Kobane, nei quartieri meridionali e orientali, degli attacchi dei miliziani Is, asserragliati nell’unico ristorante, negli ospedali abbandonati e in un ex liceo. In alcune immagini si vedono interi piani di case sommersi dal sangue e corpi di bambini stipati all’ingresso. Proprio donne, anziani e bambini sono le principali vittime di questo nuovo assalto di Is, dopo la fine dell’assedio della città dello scorso gennaio, perché migliaia di adulti hanno preferito non rientrare a Kobane e cercare lavoro altrove. In particolare nella scuola alle spalle della sede del Cantone, dove si sono asserragliati i jihadisti anche nel primo assalto dello scorso ottobre, sono state udite esplosioni anche nel pomeriggio di ieri, mentre i Ypg avrebbero messo in sicurezza l’edificio.

E così è possibile che ci siano ancora jihadisti asserragliati in città. «Sono in corso operazioni per verificare che non ci siano terroristi nascosti in alcune abitazioni del centro e nel liceo», ci spiega Mustafa Bali, un giornalista locale. Anche ieri da alcuni edifici erano ancora visibili colonne di fumo. Per dichiarare la città di Tel Abyad, liberata dallo Stato islamico quasi due settimane fa, dare il via ai festeggiamenti e alla parata militare, ci sono voluti tre giorni.

Per questo, sarà necessario attendere ancora perché il pericolo jihadista sia davvero alle spalle anche a Kobane. Mentre i combattimenti continuano nella città di Hassakeh (270 chilometri a est di Kobane), attaccata dai jihadisti, arrivati in territorio siriano anche attraverso il confine turco, lasciato colpevolmente incustodito dalle autorità di dogana lo scorso giovedì.
Decine di profughi starebbero rientrando a Kobane dopo aver lasciato la città in seguito all’attacco. Sono centinaia di migliaia i profughi siriani che hanno trovato rifugio nei campi in Turchia dopo gli assalti di Is alla Rojava. Ma per il presidente Recep Tayyip Erdogan la formazione di una regione autonoma del Kurdistan siriano è ancora un taboo.
«Non permetteremo la nascita di un nuovo Stato sulla nostra frontiera meridionale nel nord della Siria, costi quel che costi», ha tuonato il leader del partito islamista moderato Akp, sconfitto alle elezioni del 7 giugno. Erdogan ha anche rimandato al mittente le accuse di collusione tra Is e servizi segreti turchi, come confermato da rivelazioni di stampa, bollandole come «bugie».

A Kobane si susseguono i funerali dei martiri. Ma lentamente la vita torna alla normalità. Sugli schermi della tv pubblica Ronahi, in stile cubano, un presentatore legge la lista delle vittime. Sullo sfondo l’immagine di Ocalan e delle tre attiviste kurde uccise a Parigi nel 2013, le giornaliste annunciano le notizie sui successi della campagna anti-mine. E sono tornati anche i video dei canti popolari, di guerra (h24 su Mad Music) e di addestramento delle Ypj; Jindar (donne): un programma interamente dedicato a storie di donne e Zi mame me sesem (Tempo di giovedì): corsi per tutti di lingua kurda. Viva Kobane libera, kurda e comunista.