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La seconda edizione di Tourisma – il salone internazionale dell’archeologia che si svolgerà presso il Palazzo dei Congressi di Firenze dal 19 al 21 febbraio (per info sul programma: www.tourisma.it) – dedicherà la serata inaugurale del 18, nella preziosa cornice del Salone de’ Cinquecento a Palazzo Vecchio, alla Grecia.

Uno dei protagonisti della manifestazione sarà Louis Godart – consigliere per la conservazione del patrimonio artistico del Presidente della Repubblica Italiana, accademico dei Lincei e illustre studioso di antichità micenee –, il quale ha rivelato in anteprima al manifesto i temi del suo intervento.

Per l’apertura di Tourisma 2016 presenterà una relazione dal titolo «Una civiltà per l’Europa». Cosa intende proporre esattamente?

La mia relazione verterà sugli albori della civiltà europea. La prima civiltà veramente «europea» nasce nel mondo egeo ed è quella minoica. Per la prima volta nella storia, si manifesta una civiltà che descrive l’uomo, la donna e l’ambiente in un contesto di totale riconciliazione con il creato. Questo rappresenta una soluzione di continuità con l’arte orientale e della valle del Nilo.

La civiltà minoica ha fortemente influenzato la civiltà greca ed è proprio nella Grecia del I millennio che nascono due valori fondamentali, pilastri delle moderne società europee. Il primo è la centralità dell’uomo nella storia. Infatti, nel mondo greco, l’uomo appare liberato e capace di assumere il proprio destino, una concezione allora «rivoluzionaria» che sarà ripresa nel Settecento, il secolo dei Lumi. La seconda grande invenzione della civiltà greca è, ovviamente, la democrazia: il popolo prende in mano le redini del potere e gestisce lo stato.

Tali valori permangono su un piano ideale o sono ancora realmente praticati in Europa e, in particolare, in Grecia?

La centralità dell’uomo e la democrazia sono valori intramontabili. Anche se la Grecia conosce oggi delle difficoltà legate alla tragica situazione economica, queste si esprimono in un contesto democratico. Tanto è vero che i greci sono andati a votare e che ora a reggere le sorti del paese c’è un governo di sinistra.

Come giudica il clamore suscitato, a livello internazionale, dal recente scavo del tumulo di Amphipolis che si è favoleggiato potesse contenere le spoglie di Alessandro Magno? La Grecia ha davvero bisogno di una scoperta eclatante per tornare ad essere considerata la culla della civiltà occidentale?

Attualmente, qualunque paese è alla ricerca di segnali che possano colpire e dare agli altri l’impressione di appartenere a una lunga storia e tradizione. In questo senso, la scoperta della tomba di Amphipolis ha fatto nascere nel popolo greco una comprensibile ondata di orgoglio nazionale.

Ma questa vicenda tradisce anche l’aspirazione di un paese in crisi, che non sempre riesce a trovare nuove speranze. Bisogna inoltre riconoscere che l’ipotesi – scientificamente irricevibile – che il grande condottiero macedone sia sepolto ad Amphipolis è stata enfatizzata da certa stampa. La Grecia, in fondo, ha utilizzato questo ritrovamento per insistere su quelle che furono pagine gloriose del suo passato.

 

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Il Partenone in restauro (foto Valentina Porcheddu)

 

 

 

Sull’Acropoli di Atene si stanno realizzando poderosi restauri. Il Partenone, così come lo vedremo a lavori completati, sarà una rovina ben «valorizzata» o una ricostruzione attendibile dettata dall’ambizione – e nostalgica illusione – di tornare alle forme primigenie dell’architettura classica?

ll Partenone è un monumento straordinario, emblema non soltanto della Grecia ma di tutta la civiltà occidentale perché il tempio – edificato dagli ateniesi dopo la vittoria sui Persiani nel 480 a.C. – esprime lo slancio di una città liberata. Quando vennero inaugurati i monumenti dell’Acropoli, Pericle, il primo uomo della storia che ha osato rivolgersi all’avvenire, pronunciò queste parole: «Possiate dire di noi, secoli futuri, che abbiamo costruito la città più bella e più felice».

Il suo intento era di trasmettere quel sogno di bellezza e libertà che i Greci hanno cercato nell’architettura, nell’arte e nella letteratura. Prendersi cura del Partenone, dopo le terribili ferite subite nel corso dei millenni, significa soprattutto perpetuare questo messaggio e non solo avvicinarsi alla purezza del mondo classico.

La più grande ferita inferta al Partenone è il «ratto» delle sculture che decoravano – con una forte carica simbolica – i frontoni e le metope del tempio, per mano del conte di Elgin. Fin dall’epoca dell’indipendenza della Grecia dall’impero ottomano, esiste un’accesa controversia per la restituzione dei marmi esposti al British Museum dal 1816. Qual è la sua posizione in merito?

Elgin, nel rimuovere le sculture dal tempio, le ha massacrate. Il suo atto, arbitrario e distruttivo, è una profonda offesa alla civiltà occidentale. Se la Gran Bretagna restituisse i marmi del Partenone al paese che ha visto nascere Fidia, acquisterebbe dei meriti formidabili davanti alla storia.

Ma cosa succederà se, con l’eventuale restituzione dei cosiddetti «marmi Elgin», altri paesi dovessero reclamare opere acquisite dai maggiori musei europei in seguito a guerre o depredazioni?

A questa domanda rispose nel 1982 Melina Mercouri (ministra greca della cultura alla caduta della dittatura dei colonelli, ndr) durante un incontro Unesco svoltosi a Città del Messico. Non si tratta di rimettere in discussione le depredazioni frutto della storia, ma di riportare alla sua unità il monumento più rappresentativo della civiltà occidentale.

Io, che ho scavato e condotto ricerche nell’Ellade per quarant’anni, ho un sogno. Mi auguro che un giorno le stelle del firmamento di Atene possano vedere i marmi di Fidia tornare ai piedi dell’Acropoli, nel magnifico museo realizzato per accoglierli. Il debito della storia verrebbe almeno un po’ ripagato e un simbolo universale sarebbe riconsegnato alla patria che lo ha donato al mondo.

 

 

CRONISTORIA DEI MARMI ELGIN

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I marmi di Fidia

Galeotto fu un firmano. Durante l’occupazione ottomana della Grecia, Lord Thomas Bruce, VII conte di Elgin – ambasciatore del Regno Unito presso la Sublime Porta dal 1799 al 1803 e ammiratore non troppo romantico delle antichità greche – fu autorizzato a effettuare calchi e disegni dei monumenti dell’Acropoli di Atene. Successivamente, Elgin, rimosse le sculture del Partenone e una delle Cariatidi dell’Eretteo e le trasferì in Inghilterra. Il documento che attesterebbe il permesso ad asportare le sculture è andato perduto.

Resta invece un’ambigua traduzione italiana del reverendo Philip Hunt, che ha a sua volta originato la versione inglese in base alla quale nel 1816 venne avvalorata la legittimità dell’impresa di Elgin. Il 1816 è anche l’anno in cui un centinaio di frammenti tra metope e elementi dei frontoni del Partenone furono acquisiti dal British Museum, dove da allora sono conservati. La battaglia per la restituzione dei marmi di Fidia – nata all’indomani dell’indipendenza della Grecia e animatasi negli anni ’80 grazie agli appassionati interventi di Melina Mercouri – ha una lunga storia.

In seguito al recente tentativo di ottenere il rimpatrio delle sculture per via legale sotto la guida dell’avvocatessa Amal Clooney, il governo Tsipras ha rinunciato lo scorso dicembre all’iter giuridico (il manifesto, 11 dicembre 2015).

Nuove prospettive si aprono ora con l’intensificarsi dell’impegno dell’International Association for the Reunification of the Parthenon Sculptures, la quale dal 2005 riunisce diverse organizzazioni a carattere nazionale. Attualmente sono diciassette i paesi ad aver aderito, di cui nove appartenenti all’Unione Europea.

Mentre il comitato italiano è in fase di definizione, Dusan Sidjanski – politologo dell’Università di Ginevra e presidente della delegazione svizzera – proporrà nel quadro di Tourisma 2016 un contributo dal titolo «Quale destino per i marmi del Partenone?».

«Andare davanti alla Corte di giustizia, non è la soluzione – sostiene Sidjanski –. Noi del comitato svizzero, così come la maggior parte dei membri dell’associazione internazionale per la riunificazione dei marmi, siamo convinti che non bisogna combattere contro l’Inghilterra e fomentare una sorta di guerra nei tribunali. Occorre invece instaurare un dialogo con gli inglesi, i quali fino a qualche anno fa opponevano un fermo rifiuto alla restituzione delle opere. Una delle maggiori obiezioni era che la Grecia non potesse garantire le condizioni logistiche ottimali per riceverle. Ma dal 2009 si è compiuto un grande passo in avanti in questo senso, con l’apertura, ad Atene, di un nuovo museo unicamente consacrato all’Acropoli e alla decorazione superstite del Partenone. Il British Museum è, al contrario, un museo universale, che offre una visione distorta, oserei dire ‘chiusa’, su un monumento violentemente smembrato. Persino il grande scultore francese Auguste Rodin, nel visitare il museo londinese a fine Ottocento, espresse il desiderio che i capolavori dell’arte classica realizzati nel V secolo a.C. da Fidia ritrovassero la collocazione ideale. È alla luce della Grecia che bisogna pensare, quella che – attraversando le grandi vetrate del Museo dell’Acropoli progettato dall’architetto Bernard Tschumi – illumina il Partenone».  (valentina  porcheddu)