La legge di bilancio sarà di 23 miliardi di euro. Otto andranno al taglio del cuneo fiscale, due in più dell’ultimo intervento sul bonus Irpef, 100 euro andranno nelle busta paga e la platea sarà ampliata fino ai 40mila euro di reddito. Ci sarà un miliardo in più al cosiddetto «reddito di cittadinanza» per un totale di 8,8 dopo che la maggioranza ha litigato per una modesta integrazione di 200 milioni di euro, un altro miliardo è stato stanziato per calmierare il «caro bollette» causato dall’aumento dei prezzi delle materie prime alla base della fiammata inflazionistica del post-covid. Altre risorse saranno stanziate per mantenere la «legge Fornero» e garantire una finestra a una platea di 50 mila persone stimate che potrebbero andare in pensione con quota 102 (età minima di 64 anni e almeno 38 anni di contributi) nel 2022 e quota 104 nel 2023. Prevista inoltre la proroga del «Superbonus» al 2023 ma dovrebbe riguardare solo i lavori per i condomini. Resterebbero esclusi gli immobili unifamiliari, ville e villette. Ci saranno anche gli esoneri contributivi per lavoratori provenienti da imprese in crisi. La prossima manovra dovrebbe rendere strutturale il congedo di paternità di dieci giorni, l’aumento dei fondi per la gratuità dei libri testo nella scuola dell’obbligo. Continua la distribuzione delle risorse pubbliche per finanziare industrie più varie. Ieri è stato prolungato il bonus Tv con uno sconto del 20% sul prezzo d’acquisto fino ad un importo massimo di 100 euro senza limiti Isee. C’è anche il bonus decoder di 30 euro destinato a chi ha un Isee inferiore ai 20 mila euro.

Sono le macro-voci contenute nel documento programmatico di bilancio (Dpb) approvato ieri dopo una laboriosa giornata che ha visto prima una cabina di regia a palazzo Chigi e poi un consiglio dei ministri durato due ore. Al termine il testo che delinea lo schema della legge di Bilancio è stato approvato all’unanimità ma con almeno una riserva di fondo presentata dalla Lega a proposito della sua bandierina elettorale sulla finestra di quota 102-4 a una legge, quella «Fornero», che il partito di Salvini aveva giurato di volere cambiare. E si è risolto solo a prorogare allungando le ingiustizie subite dai lavoratori.

Il governo avrebbe congelato la decisione sul superamento della riforma delle pensioni del primo governo Conte ai prossimi giorni, quando il consiglio dei ministri dovrebbe varare la vera e propria manovra. Comunque non prima della prossima settimana dato che il presidente del Consiglio Mario Draghi sarà impegnato nel vertice europeo di giovedì e venerdì. Nel frattempo il Dpb sarà inviato alla Commissione Europea che lo sta attendendo dal 15 ottobre, giorno in cui è scaduto il termine di consegna del documento che ha bisogno dell’imprimatur dei custodi dei conti per poi andare in parlamento. Scadenza che negli anni scorsi provocava ansie trasmesse in mondovisione, e sessioni notturne nei consigli dei ministri. Con Draghi è passata in cavalleria. A Bruxelles hanno atteso fiduciosi lo «schema» che andrà approfondito e sul quale le forze di maggioranza continueranno a scambiarsi botte da orbi nelle prossime settimane. «Sulle pensioni ci sono diverse ipotesi in ballo, ma questa sera nessuna decisione su quota 100 è stata presa, così come chiesto dai ministri della Lega. Nei prossimi giorni si decideranno modalità e tempi delle modifiche del sistema pensionistico. Escludo qualsiasi ritorno alla legge Fornero» ha detto il ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti al termine del consiglio dei ministri sorvolando sul fatto che la legge non sarà riformata, ma sospesa per una platea ristretta di lavoratori.

Quello approvato ieri lascia aperte molte altre questioni importanti. I fondi per la riforma degli ammortizzatori sociali sulla quale ieri la Lega, ansiosa di recuperare una visibilità dopo i rovesci elettorali, ha fatto i primi distinguo non sulla cassa integrazione, ma sull’aumento delle contribuzioni previdenziali. Resta ancora da studiare il modo in cui il taglio dell’Irpef dovrebbe interessare i contribuenti con 55mila euro di reddito e hanno un’aliquota del 38%. Quello che ieri sera sembrava certo è che nel «reddito di cittadinanza» sarà introdotto il tipico meccanismo del workfare: più il tempo passa, più il sussidio sarà ridotto alla platea degli «occupabili». In attesa di una riforma che tarda ad arrivare il meccanismo è stato presentato per punire i «furbetti». Invece colpirà più di un milione di persone (su più di 3). Sulle loro spalle sarà scaricata la colpa di non avere risposto a un’offerta di lavoro. Ma quell’offerta, che non dipende dalla loro volontà, arriverà mai?