Il nordovest statunitense resta probabilmente una delle aree più selvagge della nazione: un territorio sconfinato che rappresenta a tutt’oggi una sorta di frontiera – forse l’ultima vera frontiera rimasta – per chiunque desideri allontanarsi il più possibile dalla civiltà. Tra gli stati più remoti di quest’angolo d’America ci sono l’Idaho che fornì a Ernest Hemingway l’approdo finale, il desolato Wyoming e il Montana, sterminato stato agricolo che accoglie distese pressoché vergini tra le più ampie degli Stati Uniti, e che ha recentemente raggiunto una qualche notorietà come paradiso per chiunque desideri vivere off-grid, ovvero al di fuori delle trame della civiltà e delle organizzazioni governative e in sintonia con l’ethos populista-libertario.

I seguaci di questa filosofia abbandonano la vita di tutti i giorni per rincorrere il sogno di un nuovo pionierismo, che vorrebbe idealmente riprodurre le condizioni del mitico West inesplorato. Si dedicando ad attività come caccia e pesca alla ricerca di un rapporto pressoché simbiotico con l’ambiente, in nome di un’autosussistenza e di un individualismo esasperati. Molti di questi rientrano anche nella categoria dei cosiddetti doomsday preppers, gruppi istituiti in nome della convinzione paranoide secondo la quale l’apocalisse (sia essa dovuta all’inettitudine del governo, a un’invasione da parte dei russi, degli alieni e di altre entità esterne, o a disastri naturali) sia imminente, e che sia necessario prepararsi al peggio.

Gridders e Preppers
Resi celebri da una serie di documentari di discreto successo trasmessa da National Geographic dal 2011 al 2014, gli off-gridder e i doomsday preppers si affacciano anche nella letteratura statunitense: per esempio nel romanzo di Chris Offutt Il fratello buono, in cui il protagonista si trova invischiato nelle trame violente di una banda disposta a tutto pur di difendere il proprio distorto diritto alla libertà.

In Ruthie Fear (traduzione di Leonardo Taiuti, Black Coffee, pp. 343, € 18,00), Maxim Loskutoff, scrittore nato e cresciuto nell’ovest rurale, si avvicina al Montana e ai suoi abitanti adottando uno sguardo che, sebbene privo di romanticismo, dimostra un sincero attaccamento alla regione e all’umanità disparata che vive quegli spazi, così distanti dall’America urbana da assomigliare a uno squarcio del passato. Ruthie vive con suo padre, cacciatore malmesso e alcolista che si arrabatta come meglio può per sopravvivere, nella Bitterrot Valley, luogo un tempo popolato da Nativi americani poi sgomberati a forza dall’esercito statunitense e per questo condannata alla rovina da una maledizione del vecchio capo Charlo.

Nonostante l’amore evidente che Loskutoff, residente nelle Montagne rocciose del Montana, riversa nelle rigogliose descrizioni dei paesaggi boschivi della valle, nel romanzo si respira un’aria stagnante, mortifera. Gli isolati abitanti della Bitterroot sono tutti individui traumatizzati, incapaci di comprendere il mondo al di fuori dei confini del territorio a cui hanno interamente votato le proprie esistenze, diffidenti nei confronti di ogni accenno di progresso e oppressi da continue manie di persecuzione che, ancora una volta, ricordano da vicino le ossessioni degli off-gridders. È in questo ambiente che cresce Ruthie Fear, imparando ad amare la natura in cui si immerge per sfuggire all’atmosfera soffocante dell’umanità in decadenza che la circonda. La formazione della bambina, che è anche un duro apprendistato alla vita e un’incerta educazione sentimentale, procede di pari passo con l’incombere della modernità che minaccia la valle, tradotta in ville di lusso e incarnata in torme di turisti in perenne crescita. È un mondo di uomini dai modi spiccioli, dediti alla bottiglia e al fucile, dal quale la ragazza fugge ma al quale non può fare a meno di tornare, mossa da un legame tanto problematico quanto indissolubile con il genitore.

Misteriosa creatura
Loskutoff intreccia questa solida dimensione di naturalismo sociale a elementi di realismo magico che colorano la crescita di Ruthie di immagini fantastiche e sinistre, come la misteriosa creatura senza testa che la protagonista è convinta di aver visto da bambina durante una delle sue scorribande nella natura selvaggia, e dalla quale si farà accompagnare per tutta la vita fino alla rivelazione finale: una chiusa secca e inaspettata in cui Loskutoff dà concretezza al proprio pessimismo antropologico, sempre ben distinguibile nella filigrana del romanzo.
La critica dell’autore alla mercificazione bulimica dell’ambiente è pervasiva, la speranza in una redenzione pressoché inesistente. L’esempio di purezza fornito da Ruthie, che si distanzia nettamente dalla massa informe dell’America sua contemporanea nella ricerca esistenziale di un qualche senso, fatica a contrastare l’approssimarsi inesorabile della rovina. Eppure, sempre grazie al sottotesto metafisico implicito, Ruthie Fear sceglie infine di dissipare le angosce a cui dà voce in uno slancio verso la trascendenza ancora intrinseco, nonostante tutto, alla natura: offesa ma mai davvero domata, che resiste oltre i confini di un mond