Cambiare l’Italicum per evitare di perdere anche le elezioni politiche. È la richiesta che la minoranza del partito democratico rinnova a Matteo Renzi, avendo dalla sua la «prova generale» dei ballottaggi nei comuni. Non si spinge a sostenere il referendum che è in campo, e che mira a smontare dall’Italicum il meccanismo del super premio di maggioranza e del ballottaggio. La richiesta è più soft: riportare il premio alle coalizioni (invece che alla lista), in modo che si possa ricostituire un centrosinistra in grado di competere con i 5 Stelle. E magari anche un centrodestra che si riveli – vedi Milano, Bologna e Cagliari – un più facile avversario. Ma Renzi, che ha tutt’altro in testa (compreso un listone capace di assorbire gli alleati) risponde che l’Italicum non si cambia.

L’analisi dei flussi elettorali tra il primo e il secondo turno nelle città – proposta sia dall’Istituto Cattaneo che, solo per Napoli e Torino, dal Centro di studi elettorali della Luiss – conferma come la nuova legge elettorale studiata al Nazareno tra Renzi e Berlusconi (e votata da Forza Italia fino all’approvazione definitiva) è un meccanismo perfetto per favorire il Movimento di Grillo. I 5 Stelle si confermano quella «macchina da ballottaggi», secondo la definizione del Cattaneo, in grado di vincere quasi tutte le sfide a due alle quali hanno partecipato domenica: 19 su 20 nel complesso dei comuni e tre su tre nei capoluoghi. Mentre il Pd nei comuni capoluogo ha perso 12 sfide su 17, facendo persino peggio del terremotato centrodestra che ha vinto 9 delle 16 sfide alle quali ha partecipato. La spiegazione anche in questo caso è nei flussi, per esempio quelli di Bologna, Grosseto, Novara e Brindisi, dove si conferma che quando gli elettori 5 stelle tornano a votare scelgono in prevalenza i candidati all’opposizione del governo centrale. Che oggi è il governo di Renzi e del Pd. E lo sarà anche quando si sperimenterà per la prima volta l’Italicum (2017 o 2018, al netto dei possibili interventi della Corte costituzionale).
Proprio il meccanismo del ballottaggio – introdotto nel ’93 per i comuni più grandi è travasato nella nuova legge elettorale per la camera – è responsabile, con il premio di maggioranza, della distorsione tra le scelte reali degli elettori e la loro rappresentanza nelle assemblee. Si prenda il caso di Trieste dove, per la bassa affluenza al secondo turno, il candidato del centrodestra ha battuto al ballottaggio quello del centrosinistra per 4.500 voti, che in termini percentuali rappresentano il 5,1% dei votanti e appena il 2,4% delle elettrici ed elettori triestini. Per effetto del premio di maggioranza, il centrodestra potrà contare sul 62,5% dei consiglieri comunali e il centrosinistra sul 25% dei consiglieri. Quello che nei numeri è uno scarto di pochi punti, nei seggi diventa una differenza enorme, quasi il 40%. La stessa cosa accadrà con l’Italicum che garantisce al vincitore del ballottaggio il 54% dei seggi della camera (ai quali aggiungere quelli della sezione estero) a prescindere dai voti reali. E a prescindere dalla (non) partecipazione al voto.

Partecipazione che è tenuta bassa al secondo turno anche da un altra caratteristica che avvicina la legge elettorale per i comuni a quella (nuova) per la camera. Parliamo delle preferenze, reintrodotte nell’Italicum assieme ai capolista bloccati. Da sempre avversate da chi le ritiene un veicolo di corruzione, le preferenze possono essere lette anche come un disincentivo per gli elettori del secondo turno. Al sud e nelle isole, dove più alto è il rapporto tra preferenze espresse e voti totali, non sempre per ragioni trasparenti, il calo dell’affluenza tra il primo e secondo turno (quando non si esprime la preferenza) è stato più alto rispetto al centro nord. Si prendano due casi in Campania, quello di Caserta dove ha vinto un candidato del Pd sostenuto da 9 liste e quello più noto di Napoli dove ha vinto de Magistris sostenuto da 12 liste. In entrambi i casi i candidati sono stati sostenuti al primo turno dai voti di lista (e per de Magistris è stata una novità) e in entrambi i casi l’affluenza in due settimane è crollata: meno 18,2 punti a Napoli e meno 34,7 punti a Caserta. E si può aggiungere che a Napoli, in assenza della «spinta» a esprimere la preferenza, anche gli elettori dello sfidante di centrodestra in campo, Lettieri, in 4 su 10 si sono astenuti al secondo turno.