Non c’è pace per il ministro dell’Agricoltura attaccato da più parti. Dopo i trattori ora tocca al largo fronte dei vegani, vegetariani o comunque di tutti coloro che, consapevoli di quanto gli allevamenti intensivi incidano sulle emissioni, sono favorevoli a una diminuzione del consumo di carne. L’oggetto del contendere è la legge 172/2023, recentemente approvata in Italia che, oltre a vietare la carne coltivata, mette al bando l’utilizzo di denominazioni che richiamano la carne nelle etichette dei prodotti vegetali. Niente più hamburger di soia, bistecca di tofu, polpette di ceci, prosciutto vegano e via dicendo. Un atto dovuto, secondo il promotore della norma, il leghista Gian Marco Centinaio, nei confronti dei consumatori che non potranno così più essere manipolati da messaggi ingannevoli.

UN ATTACCO FRONTALE, SECONDO ALTRI, al settore del meat sounding, che raccoglie un consenso crescente da parte dei consumatori e che ha ricadute concrete su tutto il sistema agroalimentare, visto che le materie prime provengono per la gran parte da coltivazioni agricole italiane.

UNIONE ITALIANA FOOD, associazione di Confindustria che riunisce 550 aziende dell’industria agroalimentare, ha inviato alla Commissione Ue un parere sulla legge sottolineandone le storture e chiedendo l’eliminazione della norma che vieta il meat sounding. Secondo Massimo Santinelli, ideatore, fondatore e titolare di Biolab, una delle prime aziende italiane specializzate nella produzione di alimenti biologici a base vegetale, l’emendamento Centinaio rischia di «danneggiare molte aziende di produzione vegana, con relativi impatti negativi in termini di occupazione e indotto. Favorisce invece altri settori merceologici più tradizionali nonostante la tendenza della categoria vegana sia oggettivamente in forte crescita da diversi anni e la domanda di prodotti plant based sia sempre più diffusa tra i consumatori italiani».

GLI ULTIMI DATI ELABORATI da Good Food Institute, dicono infatti che il nostro paese rappresenta il terzo mercato più grande d’Europa per i prodotti a base vegetale e le vendite continuano a crescere raggiungendo oggi complessivamente i 680,9 milioni di euro (+ 21% tra il 2020 e il 2022 e +9% solo nel 2022). La carne vegetale, nello specifico, ha visto una vera e propria impennata, con un aumento delle vendite dal 2020 al 2022 del 40% e con un valore di mercato di 168,4 milioni di euro.

Dati che indicano una modifica delle abitudini alimentari degli italiani dovuta anche alle continue raccomandazioni, anche da parte della stessa politica, di ridurre il consumo di carne. Come quella sottoscritta da 134 Paesi che hanno partecipato all’ultima Cop28 di Dubai, tra cui anche l’Italia, che ha indicato un obiettivo molto chiaro: ridurre del 50% il consumo di carne entro il 2050.

Per arrivarci, il documento indica chiaramente le strade da percorrere: valorizzare e sostenere le nuove carni a base vegetale, le carni coltivate e gli alimenti ottenuti tramite fermentazione. Sembra una strada obbligata se consideriamo che, come emerso sempre dalla Conferenza sul Clima la produzione di cibo, è responsabile di un terzo delle emissioni e queste sono causate al 60-70% dal sistema degli allevamenti intensivi nel loro complesso. In totale, il 14,5-20% delle emissioni di gas serra arriva da queste fonti.

L’EMENDAMENTO CENTINAIO, dunque, che per alcuni è una bandiera per la difesa del Made in Italy e per altri una protezione della lobby della carne industriale, rappresentata principalmente da Coldiretti, oltre a ignorare questi dati, sembra non tenere conto del danno che provocherebbe alle aziende del settore e solleva importanti criticità a livello europeo per incompatibilità con i Regolamenti, in particolare in tema di libera circolazione delle merci. In poche parole sta mettendo in discussione l’intera legge e sta creando non pochi problemi al ministro dell’Agricoltura che l’ha promossa.

Il divieto, infatti, per ora è solo sulla carta perché manca ancora il decreto attuativo con la lista dei nomi incriminati, annunciato per il 16 febbraio ma sul quale il ministro sembra tergiversare. In attesa – pare – della pronuncia della Corte di Giustizia Europea nei confronti di un’analoga disposizione adottata in Francia contenente un elenco di termini vietati nelle etichette. «I nostri uffici legali – ha detto il ministro – stanno verificando la compatibilità del modello francese con il nostro sistema per riprendere eventualmente la strada già seguita in un ordinamento sostanzialmente simile al nostro».

«NELL’ATTESA PERO’ – HANNO REPLICATO lo scorso 28 febbraio i parlamentari di + Europa Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova – le imprese devono affrontare costi di rebranding, smaltimento delle vecchie etichette, senza sapere come dovranno essere quelle nuove, in una situazione di totale incertezza del diritto».

LA LEGGE CHE CONTIENE QUESTO DIVIETO, infatti, secondo Magi e Della Vedova, che hanno anche ironizzato sul fatto che questi prodotti, in teoria vietati, sono a tutt’oggi serviti alla mensa della Camera, «è disapplicabile dai giudici nazionali in base alla giurisprudenza europea, quindi è meglio lasciarla in questo limbo che danneggia le imprese, comprese le aziende agricole che producono ceci, lenticchie, soia e materie prime per le proteine vegetali».

Un bel dilemma davanti al quale il ministero dell’agricoltura si difende prendendo tempo. «Abbiamo aperto – dice il ministro Lollobrigida – un tavolo di confronto per comprendere come, pur continuando a ritenere prioritario l’interesse dei cittadini consumatori alla trasparenza e alla corretta informazione, si possa mirare alla sua tutela senza arrecare pregiudizio alle imprese».

NEL FRATTEMPO SUL TEMA MEAT SOUNDING c’è un grande fermento internazionale. Lo scorso agosto 2021 è stato lanciato il Trattato sui prodotti a base vegetale (Plant Based Treaty) a cui hanno aderito fino ad ora 25 amministrazioni comunali in tutto il mondo, tra cui Amsterdam, Edimburgo e Los Angeles, 135.000 sostenitori individuali, 5 premi Nobel, scienziati dell’Ipcc, più di 1.000 Ong e gruppi comunitari e 1.000 aziende.

SUL FRONTE OPPOSTO CHI DIFENDE l’industria della carne facendo compagnia all’Italia. Proprio pochi giorni fa in Francia un decreto del governo ha sancito definitivamente il divieto dell’utilizzo di termini associati alla carne nelle etichette di prodotti plant-based. Il tema non è di facile soluzione anche perché, se è vero che aumentano velocemente i consumatori vegani e vegetariani, la crescita della produzione e del consumo di carne sembra inarrestabile e oggi è quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ’60: da 70 milioni di tonnellate a quasi 330 milioni nel 2017.

Un aumento dovuto in gran parte alle migliori condizioni economiche di alcuni paesi che sono entrati prepotentemente nel mercato, come ad esempio la Cina, passata da meno di 5 kg di consumo a testa, negli anni ’60, ai 60 kg di oggi. Sul podio rimangono comunque gli Usa dove la media di consumo procapite è di 140 kg all’anno.

QUESTO SIGNIFICA CHE SE NEL 1960 si contavano circa 10 miliardi di animali macellati oggi siamo arrivati a circa 70 miliardi e, senza una seria inversione di tendenza, le stime parlano di 120 miliardi nel 2050.