Josep Borrell difficilmente riuscirà a salvare i negoziati in corso a Vienna sul nucleare iraniano, come promette di voler fare. Però l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea presidente ha il pregio di aver esplicitato l’origine del problema dietro il muro contro muro in atto in Austria: la scelta unilaterale di Donald Trump di abbandonare nel 2018, senza un motivo reale, l’accordo sul nucleare – Piano d’azione globale congiunto (Jcpoa) -, approvato anche dagli Usa nel 2015, e di varare sanzioni durissime contro Tehran. Tre anni dopo quel passo scellerato, diverse cose sono cambiate, altre non abbastanza. Alla presidenza iraniana non c’è più il moderato Hassan Rohani ma il falco Ebrahim Raisi. Sull’altro versante la linea degli Stati uniti, malgrado l’ingresso alla Casa Bianca del Democratico Joe Biden, è mutata solo in minima parte rispetto a quella della «massima pressione» su Tehran portata avanti da Trump. Due posizioni che, al momento, non lasciano intravedere un’intesa per il rilancio del Jcpoa. E sale il rischio che la crisi sfoci in una escalation militare, una possibilità che Israele – unico paese della regione a possedere segretamente bombe atomiche – chiede di non scartare.

Washington sostiene che da parte iraniana non sia giunta alcuna «proposta costruttiva». Venerdì il segretario di Stato Antony Blinken ha accusato Tehran di non essere seriamente intenzionata a raggiungere un accordo con gli Stati Uniti. «Ciò che abbiamo visto negli ultimi giorni è che l’Iran, in questo momento, non sembra essere serio nel fare ciò che è necessario per tornare alla conformità. E vedremo se l’Iran ha interesse a impegnarsi seriamente, ma la finestra è molto, molto stretta», ha detto Blinken in un’intervista cogliendo l’occasione per minacciare di nuovo l’Iran di un attacco militare contro le sue centrali atomiche. «Se il percorso verso un ritorno alla conformità con l’accordo dovesse entrare in un vicolo cieco, perseguiremo altre opzioni».

Traducendo ciò che Blinken intende per serietà iraniana, Tehran dovrebbe restare sotto le sanzioni americane che strangolano la sua economia per tutta la durata del negoziato, seguire punto per punto il Jcpoa del 2015 e allo stesso tempo integrare quell’accordo con una limitazione del suo programma di armamenti. L’Iran da parte sua gioca sul rischio: vuole la fine immediata delle sanzioni altrimenti continuerà ad avanzare il suo programma nucleare, spingendosi, fa capire, fino alla linea rossa oltre la quale c’è la produzione di ordigni nucleari. Ha perciò iniziato ad arricchire l’uranio in una struttura nucleare sotterranea a Fordo – dove il Jcpoa invece stabilisce lo stop a ogni arricchimento – fino al 20 per cento di purezza.

La situazione di stallo è stata denunciata dal direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi. «Il processo sta andando avanti ma è molto complesso – ha spiegato durante una conferenza nei giorni scorsi -, da un lato l’Iran crede che il sollevamento delle sanzioni economiche dovrebbe precedere qualsiasi passo ulteriore sul programma nucleare, mentre i Paesi occidentali sostengono che vi dovrebbero essere progressi tangibili sul fronte nucleare. Cina e Russia cercano di avere un ruolo di ponte tra le due parti». Il capo negoziatore dell’Ue, Enrique Mora, sostiene che le parti torneranno a riunirsi l’8 dicembre ma la pausa potrebbe essere molto più lunga, come lasciano pensare alcune dichiarazioni del presidente francese Macron, in visita (tra le polemiche) nel Golfo e in Arabia saudita.