Spezzeremo il portafogli alla Russia. O quasi. Ieri Boris Johnson ha annunciato nell’aula di Westminster la “prima tranche” di sanzioni alla Russia di Vladimir Putin.
In risposta al riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk e l’ingresso delle truppe russe nel Donbass che violano il protocollo di Minsk del 2014, «Oggi, il Regno Unito sanziona le seguenti cinque banche russe: Rossiya, IS Bank, General Bank, Promsvyazbank e la Black Sea Bank. E sanzioneremo tre assai facoltosi individui: Gennadij Timchenko, Boris Rotenberg, e Igor Rotenberg. Qualunque bene posseggano nel Regno unito sarà congelato, gli individui interessati saranno banditi dal viaggiare in questo paese e proibiremo a ogni individuo ed entità del Regno unito dall’avere qualunque accordo con loro».

Si tratta, appunto di una prima rata di sanzioni: altre seguiranno, da imporsi con gli Stati uniti e l’Unione europea, «se la situazione degenera ulteriormente». I tre oligarchi russi fanno parte dell’entourage finanziario dello stesso Putin e li si vuole prestanome per alcune delle ingenti ricchezze che il presidente russo e i suoi detengono in quella capitale del capitale globale – e riciclabile – che è la City di Londra. I fratelli Rotenberg si sarebbero allenati con lui nella sua palestra (Vladimir, si sa, è un valente judoka). Boris (senza virgolette) è un amico d’infanzia di Putin, mentre Igor detiene un grosso pacchetto azionario della Gazprom, colosso energetico russo e massima azienda del suo genere quotata in borsa grazie alla quale mezza Europa affronta quel che resta dell’inverno. Timchenko è… soltanto il sesto uomo più ricco del paese.

Dunque sanzioni “chirurgiche”, che cercano di colpire Putin ma non gli enormi interessi angloeurobritannici in Russia. Perché nel capitalismo globale, colpire il portafoglio dei plutocrati altrui è in parte colpire anche quello dei nostri. O quelli di colossi petrolfinanziari come BP, Exxon, Shell, Glencore, Vitol, che è lo stesso. Insomma, per quanto chirurgiche come i bombardamenti democratici di cui l’occidente si faceva appena ieri generoso dispensiere, queste – e le prossime – sanzioni saranno lesive di detti interessi (e magari anche di quelli del Boris nazionale, come ha insinuato in un tweet velenoso Alastair Campbell). Ma ieri era il cuore liberale a parlare, e non il portafoglio: tutta la camera, nostalgica di un passato eroico che non tornerà mai più, in cui si era i più forti e i più giusti (ora è rimasta solo la seconda), è stata scossa da un fremito punitivo.
In particolare (Sir) Keir Starmer, ancora in piena modalità Nato-bello/Jeremy-Corbyn-brutto, non credeva vero di poter cantarla chiara sul ritorno dell’arci-atlantismo storico del partito laburista: quale migliore occasione per superare Johnson a destra e far vedere che siamo degni di rimettere le mani sui codici nucleari? Tutto questo non basta, ha tuonato, bisogna eliminarli dal sistema di pagamenti Swift, proibire il trading del debito russo nella City e bandire Russia Today dal trasmettere la sua (invero gustosa e fin troppe volte sacrosanta) propaganda. Più realista della regina.