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Le marce indietro su extraprofitti e caro-voli
Un decreto pieno di marce indietro per il governo Meloni, quello Asset. Le più clamorose sono due: la norma sugli extraprofitti e quella sul carovoli.
LA PRIMA ERA STATA annunciata a sorpresa da Matteo Salvini in conferenza stampa, in assenza del suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e della premier Giorgia Meloni. Nei giorni seguenti Meloni l’aveva difesa, Giorgetti mai.
La redazione consiglia:
Sui taxi il conflitto con i sindaci: «Il decreto è un pasticcio»Una ormai storica richiesta di sindacati e sinistra, era stata introdotta in modo fittizio in questo provvedimento calderone. Le banche avrebbero dovuto pagare il 40 per cento sulla differenza tra il margine di interesse ottenuto nel 2023 rispetto a quello del 2021. Il margine di interesse è la differenza tra i tassi di interesse che vengono pagati alla banca dai suoi clienti – mutui e prestiti – e quelli che paga la banca alla Bce. L’importo comunque non poteva comunque superare lo 0,1 per cento dell’attivo del bilancio della banca.
La marcia indietro è arrivata presto, sotto le pressioni di Forza Italia e delle critiche del mondo finanziario internazionale.
Dopo gli emendamenti, appoggiati dal governo, la tassa è sempre pari al 40% del margine di interesse, ma l’importo non può superare lo 0,26% dell’attivo, a cui è sottratto però il valore dei titoli di Stato posseduti dalla banca. Ma, soprattutto, la tassa è stata trasformata in «rafforzamento»: le banche potranno scegliere di non pagarla, a condizione che investano due volte e mezzo il valore che avrebbero dovuto pagare in operazioni di rafforzamento del loro bilancio.
Con questi nuovi parametri i 3 miliardi previsti come gettito sono completamente aleatori.
Tanto che l’inamovibile presidente dell’Abi Antonio Patuelli anche ieri gongolava: sull’opportunità di mettere a riserva ciò che in origine andava pagato, il presidente dell’associazione bancaria ha dichiarato: «Su questa ipotesi ogni banca responsabilmente deciderà». Tradotto: tutte le banche li convertiranno».
Passando al caro-voli, il ministro Adolfo Urso si è piegato presto al ricatto di Ryanair e altre compagnia low cost: contro la norma che prevedeva un tetto al 200% sui biglietti per le isole rispetto al «prezzo medio», ha fatto marcia indietro, allargando solo i poteri di controllo dell’Antitrust.
NEL FRATTEMPO RYANAIR ha tagliato il 10% dei voli invernali per e dalla Sardegna, mentre in Sicilia ha tagliato il 5% ottenendo la promessa di Renato Schifani di togliere l’imposta da 6,50 euro per ogni passeggero trasportato da ogni compagnia i cui proventi vengono ripartiti fra Comune, capoluogo di provincia e Regione che ospitano l’aeroporto.
Ieri il ministro Urso ha continuato nel patetico tentativo di nascondere la sua figuraccia: «Sono certo che anche le autorità di controllo – Antitrust, Enac e Autorità per la regolamentazione dei trasporti – utilizzeranno appieno i nuovi poteri che abbiamo loro conferito per tutelare gli utenti a fronte di algoritmi che violano la privacy e per contrastare i fenomeni distorsivi di mercato sui prezzi dei biglietti aerei, ponendo fine all’asta delle tariffe».