E così ci siamo di nuovo. Anche questa azione bellica, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, trova un suo forte punto di appoggio nelle fonti fossili, già alla base di tutte le guerre dai tempi del Vietnam. Se l’Europa non fosse stata ricattabile dalla Russia per la sua dipendenza dal gas (e dal petrolio, sia pure in misura minore), è molto improbabile che Putin avrebbe agito come ha agito. Contava sulle divisioni fra i paesi membri dell’Ue e fra Usa e Ue, causate proprio dalla dipendenza dal gas, e non prevedeva la loro capacità di non sottostare al ricatto. Per fortuna sembra abbia sbagliato a giocarsi le carte, e le divisioni non ci sono state, anche se – passata la bufera, sperando che passi – va attentamente rivista la strategia espansionistica della Nato, cioè degli Usa, e frenata.

Un altro effetto dell’invasione è che dovrebbe accelerarsi il processo di decarbonizzazione dell’Europa, cioè della sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili, per assicurarsi l’indipendenza energetica dalla Russia, e non solo dalla Russia.
Del resto, dello stretto legame fra stabilità geopolitica e fonti fossili dice senza peli sulla lingua Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, introducendo il drammatico sesto rapporto sul clima dell’Ipcc: «Gli eventi attuali mostrano come il continuo ricorso alle fonti fossili mette l’economia e la sicurezza energetica mondiale a rischio di crisi e shock geopolitici…Il carbone e gli altri combustibili fossili stanno soffocando l’umanità».

È dunque indiscutibile il legame positivo fra sviluppo sostenibile e demilitarizzazione. Ricorrere alle sole fonti rinnovabili disinnesca quella che si è rivelata una potente causa di conflitti. Naturalmente le rinnovabili allontanano le occasioni di guerra solo a patto che vengano utilizzate le fonti locali. Se, come alcuni ripropongono periodicamente, dovessimo mettere giganteschi campi fotovoltaici nel deserto del Sahara e trasportare l’energia elettrica così prodotta in Italia e in Europa, saremmo punto e daccapo. Ricattabili. E punto e daccapo saremmo pure se invece di trasportare elettricità dal deserto africano trasportassimo idrogeno, magari negli attuali metanodotti opportunamente adattati, come l’Ad della Snam ha proposto. Ricattabili anche in questo caso, perché in tutti e due i casi dipendenti dalla volontà e stabilità politica del paese produttore e dalla sicurezza delle reti di trasporto.

E ancora, restando nel campo della guerra, mentre una pipeline o un deposito di gas o petrolio si può distruggere, mettendo in ginocchio vaste porzioni di territorio, colpendo un impianto solare o eolico si colpisce solo una piccolissima parte di territorio, quella servita da quell’impianto. La resilienza di un paese aumenta enormemente.

Naturalmente, che l’invasione russa dell’Ucraina rischi di spingere verso l’indipendenza dalle fonti fossili è ben chiaro alle multinazionali che stanno facendo di tutto per rallentare o rendere impossibile il processo di decarbonizzazione. Scrive il Guardian: «Non lasciando mai che una buona crisi vada sprecata, l’industria dei combustibili fossili e i suoi alleati stanno cercando di usare l’invasione russa dell’Ucraina come scusa per un maggiore sviluppo del petrolio e del gas… una strategia che continuerà a minare la nostra capacità di agire sul cambiamento climatico nel decennio a venire».

Non è da meno il New York Times: «l’American Petroleum Institute, il potente gruppo di pressione dell’industria, ha scritto su Twitter: ‘Liberiamo l’energia americana. Proteggiamo la nostra sicurezza energetica’.…L’amministrazione dovrebbe rilasciare i permessi per la trivellazione nelle terre federali e offshore, ha esortato la lobby».

E in Italia? Stessa strategia. Aumentare l’estrazione e riprendere le trivellazioni. Le Oil&Gas si muovono all’unisono. È una bella famiglia.
E il governo che fa? Apre subito all’aumento dell’estrazione di pozzi esistenti, non si pronuncia sulle nuove trivellazioni e annuncia la possibile riapertura di centrali a carbone.

Da più parti si sottolinea che all’aumento dei prezzi di vendita non è corrisposto un analogo aumento del prezzo di acquisto del gas da parte di Eni e altri attori in questo settore, perché il gas è stato da loro acquistato con contratti a lungo termine, a prezzi garantiti, molto più bassi di quelli di oggi. Lo stesso Cottarelli, in un articolo su La Repubblica, sostiene che il governo dovrebbe fare chiarezza su questo punto perché tutto sembra indicare che Eni e gli altri operatori nel settore dell’energia (e quindi anche chi produce energia elettrica col gas) stiano facendo guadagni enormi a spese dei cittadini e delle imprese, lucrando sulla guerra. E lo stesso denuncia il Guardian a proposito di altre multinazionali con base europea come Shell e BP. Questi signori andrebbero subito tassati, non le aziende che producono energia elettrica con le fonti rinnovabili, come ha fatto il governo.

E ancora, silenzio di fronte alla proposta di Elettricità Futura, la principale associazione delle imprese che operano nel settore elettrico italiano, che si dice pronta a installare ben 60 GW di impianti solari ed eolici, mentre prontissima è stata la risposta a Eni per la ripresa dell’estrazione di fossili dal territorio italiano.

Lotta al cambiamento climatico e indipendenza energetica sono sfide per le quali le fonti rinnovabili rappresentano la sola opzione in campo.
Approfittiamo di questa tragica occasione, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, per passare dalla stretta finestra che l’ultimo rapporto IPCC ci dice che ancora abbiamo per non avviarci su una strada senza ritorno punteggiata da catastrofi. Liberiamo le rinnovabili dai vincoli ne soffocano lo sviluppo, e liberiamoci di una delle principali cause di guerra.