Motivato, circolare, inclusivo. Competente. Attento a nominare i punti di criticità, ma senza espellerli. Un movimento globale. Dopo la grande manifestazione, che ha portato in piazza a Roma 200.000 persone contro la violenza maschile e i femminicidi, domenica le donne hanno letteralmente riempito la facoltà di psicologia. Per l’assmblea plenaria, l’aula magna non è bastata, più di 1.300. Nonostante la fatica e l’impegno di un’intera giornata di discussione, se non ci fossero state le partenze di chi veniva da fuori, si sarebbe continuato ancora: a confrontarsi, a progettare. Chi è rimasto a Roma, ha continuato a parlare nelle piazzette di San Lorenzo, intorno a una bottiglia di birra, che passava di mano in mano.

NEGLI OTTO TAVOLI tematici, si è tracciato un percorso. Alle proposte specifiche, si è aggiunta la cornice d’insieme e due date: una prossima assemblea di due giorni (il 4 e 5 febbraio, molto probabilmente a Bologna), e uno sciopero globale delle donne per l’8 marzo. Si riprende in questo modo lo spirito e la lettera della proposta lanciata dalle donne argentine e latinoamericane lo scorso 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza di genere. La resistenza delle sorelle Mirabal, trucidate dal dittadore Trujillo nella Repubblica dominicana nel 1960, aleggiava con forza, domenica, nella comune intenzione delle donne di non sentirsi più vittime.

UNA NUOVA «INTERNAZIONALE femminista», secondo alcune, che vuole riempire di senso un 8 marzo diventato rituale. Lo sciopero globale – la sospensione da ogni attività, lanciato in America latina dopo lo stupro di un’adolescente argentina, particolarmente efferato -, ha moltiplicato nei cinque continenti il messaggio partito mesi prima dalla Polonia e da alcune città europee. A questo percorso ha fatto riferimento l’assemblea, a cui hanno partecipato anche realtà di altri paesi: alcune hanno rivolto un saluto alla plenaria, altre hanno arricchito il lavoro dei tavoli tematici o hanno sfilato il giorno prima alla manifestazione. Collettivi di periferia, come il Comitato 100celle&dintorni – uno dei quartieri romani a più a forte densità migrante -, hanno riunito sabato donne sinti, palestinesi, curde, venezuelane… E hanno sfilato molte ragazze giovanissime, accompagnate da loro coetanei: ignare dei percorsi precedenti, ma senz’altro un sintomo di grande percezione del tema.

L’ASSEMBLEA ha salutato la tenacia delle donne polacche, che hanno bloccato la legge per un ulteriore restringimento del diritto all’aborto. Il coraggio delle donne turche contro il progetto che vuole legalizzare lo stupro di minorenni. Il sacrificio dell’honduregna Berta Caceres e delle ambientaliste in lotta contro lo strapotere delle multinazionali.
DALL’INDIGNAZIONE alla proposta, ma senza compromessi. Innovativo e radicale, il movimento sembra intenzionato a non lasciarsi zavorrare dai bizantinismi o dalle autocensure, però vuole contare, pesare sulle scelte politiche generali: «usare le relazioni con le istituzione per aprire spazi si agibilità sul territorio e a livello nazionale». A partire da competenze vere, sperimentate in anni di lavoro sul campo: con le donne vittime della tratta, nei centri antiviolenza, con le migranti, nelle scuole o negli ospedali. Nei tavoli di domenica, si è discusso il quadro di una proposta di legge contro la violenza di genere: che parta «dal basso» e dalle esperienze concrete, dalle latitanze e dalle omissioni delle norme e dei governi, che lasciano senza spazi e sostegno il lavoro «in trincea» delle donne contro la violenza maschile e le sue diramazioni tentacolari.

UN «PIANO D’AZIONE NAZIONALE femminista che sia utile ed efficace – recita il comunicato finale –, quando sarà pronto chiederemo con tutte le nostre forze che venga adottato». Da qui a febbraio, verranno approfondite le proposte dei tavoli come lavoro e welfare, sessismo nell’informazione e nei movimenti, femminismo migrante. «Laboratori di pensiero e pratiche, di autoformazione e di autodifesa» per nominare e prevenire il sessismo «anche nei luoghi politici più vicini».

PROPOSTE per «educare alle differenze», per riappropriarsi degli spazi e della parola, fuori dalle logiche securitarie e punitive, dalle risposte patriarcali, paternalistiche o neocoloniali. Dalle donne dell’America latina, che hanno guidato percorsi di cambiamento strutturale come in Venezuela, arriva l’indicazione a coniugare libertà femminile e libertà per tutti, questione di genere e questione di classe: verso un welfare globale e una cittadinanza universale. «La rivoluzione – dice una giovanissima nella plenaria – o sarà femminista o non sarà».