Giornata all’insegna di Ridley Scott, premiato con il Glory to the Filmmaker Award, cui ha fatto seguito la proiezione del suo nuovo film The Last Duel (uscita italiana il 14 ottobre), che riecheggia il titolo del suo esordio The Duellists. Ma qui siamo in un contesto completamente diverso. «Le donne i cavallier, l’arme, gli amori», sono i protagonisti nella Francia tra il 1370 e il 1386. Un arco di tempo in cui si sviluppa la vicenda, autentica. Jean De Carrouges è un combattente nato. Un fegataccio che in battaglia dà il meglio di sé. Analfabeta, ruvido, religioso, si ritiene predestinato per ereditare titolo e possedimenti del padre. E durante un conflitto salva la vita di Jacques Le Gris, di origini meno nobili, ma più colto perché ha studiato come chierico, prima di capire che la sua strada sarebbe stata un’altra. E i due diventano grandi amici. Rimasto vedovo e senza risorse, Jean sposa la bellissima e giovane Marguerite de Thibouville, che tra le altre cose dovrebbe portare in dote una preziosa proprietà. Ma Jacques, divenuto sodale e protetto del conte Pietro II d’Alençon, prima riceve la proprietà poi il castello e i privilegi della famiglia di Jean. E quando Marguerite rivela a Jean di essere stata violentata da Jacques, in sua assenza, non resta che il giudizio di dio: l’ultimo duello autorizzato dal Parlamento di Parigi. E sono mazzate, che fanno rumore.

LA STORIA è raccontata con diverse sfumature in tantissimi resoconti custoditi in vari archivi perché a suo tempo, e anche dopo, fece scalpore. Qualche anno fa Eric Jager ne ha scritto un libro, molto documentato, che sta alla base della sceneggiatura scritta da Nicole Holofcener (aveva già scritto il curioso e originale Copia conforme) con Matt Damon e Ben Affleck (che si ritrovano sceneggiatori in coppia dopo oltre venti anni da Will Hunting – Genio ribelle). E qui c’è un primo escamotage geniale che ricorda Kurosawa e il suo Rashomon perché i fatti sono raccontati da tre diversi punti di vista. Prima quello di De Carrouges, poi quello di Le Gris, infine quello della de Thibouville. E quando finalmente si dipana la terza versione della vicenda il film decolla decisamente. Perché, pur parlando col senno di poi, le motivazioni che spingono Marguerite a denunciare la violenza sono davvero più vicine ai nostri tempi che a quelli dei fatti. Anche allora la violenza sessuale era diffusa e anche allora veniva quasi sempre sottaciuta, perché in un mondo dove i maschi dominavano completamente la scena, sarebbe stato non solo inopportuno ma addirittura controproducente renderla pubblica. Infatti, il duello viene autorizzato ma sono i due cavalieri che si scontrano, anche se la vera parte lesa è la donna, che deve assistere, costretta a tifare per un marito zoticone, altrimenti lei stessa finirà sul rogo (e questo l’energumeno non glielo aveva detto). In fondo si tratta del Giudizio di dio, quindi se quello decide che non c’è stato stupro, lei deve subirne le conseguenze. Al precedente processo non era stata raggiunta una conclusione certa, per questo è duello, ma le testimonianze sono agli atti e negli archivi, compresa quella vibrante di Marguerite.

I DOCUMENTI dicono che per seguire quell’evento molti confluirono a Parigi, dove era stato allestito qualcosa di simile a uno stadio. Scott ha, giustamente, fatto ricorso alla grafica computerizzata, ma il suo film pulsa di sangue, sperma e sudore, rimandando delle figure maschili francamente discutibili, al punto che ci si augura che entrambi i contendenti facciano una brutta fine, lasciando finalmente libera quella donna costretta a subire per ruolo e consuetudine. Non è il caso di giudicare quei comportamenti ritenuti all’epoca «naturali», ma la scelta di Marguerite, gravida di conseguenze, va invece salutata come di grande dignità in un mondo di pura ipocrisia, violento, prevaricatore. Nel racconto si sottolinea anche come lei, mentre lui è altrove a combattere, come fa spesso, si fa carico dei raccolti, dell’allevamento dei cavalli e dei conti famigliari, tutte cose che il marito è ben lontano da conoscere e capire. Magnifica nel suo ruolo l’eburnea Jodie Comer, che si contrappone alla volgarità proterva del marito Matt Damon, mentre Adam Driver è il grosso Le Gris e Ben Affleck il conte beone, puttaniere e arrogante, tutti perfetti nel dare corpo a personaggi interpretati e tratteggiati in maniera egregia. Il rumore delle lance, delle spade, delle asce, le urla dei duellanti non possono zittire la vera figura vincente, che, una volta tanto, è femminile.