Beato il popolo che onora gli Eroi, scriveva l’intellettuale di destra Marcello Veneziani, rovesciando il motto brechtiano. Gli Eroi, le loro saghe, i loro simboli, i loro miti, legittimano il Potere nella sua sacralità, rinforzano l’orgoglio nazionale e costruiscono la memoria collettiva. Non c’è atto di fondazione o rifondazione che non si regga sul culto degli Eroi.

Lo sa bene Meloni che, nel discorso inaugurale, ha presentato non un programma ma un’epica reazionaria, nascosta da un espediente retorico che purtroppo è piaciuto anche a molte donne progressiste. A fianco degli Eroi morti per mafia (non c’era Peppino Impastato) o per terrorismo (nessuno di sinistra), ha esaltato le Eroe: 16 donne di “merito”, appartenenti alle “prime” (prima donna medico, prima donna ministro, ecc.), inanellate insieme secondo una scelta sotterranea di propaganda.

Prima fra le prime, c’era infatti lei, Giorgia, Eroa per antonomasia, l’underdog che, come nel pensiero mitico, è diventata improvvisamente Regina e può chiamare le altre gloriose per nome, familiarmente, come se fossero parenti o ancelle utili a prepararle il destino.

Fra le nominate, ovvie due donne di destra: Marta Cartabia, primo presidente della Corte Costituzionale, vicina a Comunione e Liberazione; e Maria Elisabetta Casellati, prima Presidente donna del Senato e fedelissima berlusconiana. Meno ovvie Cristina Trivulzio Di Belgioioso, nobildonna ottocentesca che sostenne la prima guerra d’indipendenza, e Rosalie Montmasson, patriota e moglie di Crispi, che partecipò alla spedizione dei Mille.

Ricordarle è stato un vero colpo di genio, una picconata alla Resistenza come evento simbolico fondatore della Nazione da sostituire – come già annunciato da Benito La Russa – con il Risorgimento. Non è un caso infatti che fra le Eroe non ci siano le 21 “Madri della Repubblica”, le donne elette all’Assemblea Costituente che dettero un contributo enorme ad articoli cruciali della Costituzione. Certo c’è Nilde Iotti, ma come primo Presidente della Camera. E Tina Alselmi, ricordata come prima donna ministro e non come staffetta partigiana.

Geniale anche la citazione di Alfonsina Strada, prima donna a competere in gare ciclistiche maschili negli anni ’30. Tramite lei Meloni riconnette il passato al futuro: l’immaginario fascista che auspicava donne sane, robuste, feconde e adatte al miglioramento della razza con il modello attuale, che vuole fare assumere allo sport un ruolo risanatore, impedendo alla gioventù la decadenza, i vizi morali e la frequentazione dei centri sociali.

Fra le scienziate spicca Maria Montessori. La prima donna medico piace proprio a tutti. Piacque a Mussolini almeno fino all’esilio del ’38, piacque agli antifascisti, piace anche a me, seppure a tratti il suo metodo metta troppo in ordine. C’è poi Fabiola Gianotti, l’attuale direttrice del Cern di Ginevra, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare. E Samanta Cristoforetti che, per quanto simpatica, è sempre un pilota militare di cacciabombardieri, prima donna italiana dell’Esa, l’Agenzia impegnata a conquistare lo spazio , dato che la Terra è già tutta conquistata.

Sono però le due scrittrici a rivelare il cuore dell’eroificazione meloniana: Grazia Deledda, prima donna italiana premio Nobel, ricevuto nel 1926 con il plauso di Mussolini, che lei ricambiò omaggiandolo in un romanzo del ’27 (“con Lui finalmente si vive in pace”). E Oriana Fallaci, la giornalista che è “prima” soprattutto per le sue posizioni antislamiche e per quella “Lettera ad un bambino mai nato” che è un j’accuse contro l’aborto. Al suo nome si connette il nuovo Ministero alla natalità, ricordando alle donne che la loro missione è quella di essere madri, fino al sacrificio, come Chiara Corbella Petrillo, proclamata serva di Dio dalla chiesa cattolica nel 2018 perché, pur di far nascere il feto, rinunciò a curarsi dal cancro.

Rimane poco chiara la citazione delle due giornaliste: Ilaria Alpi, uccisa a Mogadisco nel ’94 e Maria Grazia Cutuli, uccisa a Kabul nel 2001. A meno che la loro storia non sia un monito che Meloni vuol dare a tutti “noi occidentali”: attenti , non andate in quei Paesi sottosviluppati, dove si muore per mano di beduini feroci.